Come quasi sempre è successo negli anni e nei cammini scorsi, ieri sera, poco dopo le sette, mi ha raggiunto il mio vecchio amico Nicola, tramite un lungo viaggio dal Lago Maggiore fin qui, eccezionalmente affrontato non in motocicletta ma in automobile.
Ero presso l’accettazione dell’albergo, per saldare anticipatamente il conto e farmi consegnare il sacchetto per la colazione, e l’ho visto apparire, sorridente ma polemico:
“Dovete modificare le indicazioni e l’insegna,” si lamentava a voce alta; “è da un quarto d’ora che giro qui intorno avanti e indietro!”
Non m’è sembrato vero poter rincarare le mie proteste del pomeriggio, quando, a livelli di sfinimento fisico raramente conosciuti, m’era toccata la stessa sorte, con l’aggiunta d’indicazioni telefoniche errate (“Mi aveva detto di proseguire lasciandomi a destra l’internet caffè”; “Certo! Ah no, mi sono sbagliata: doveva lasciarlo a sinistra”…)
La prima fotografia che scatto questa mattina, quando alle sette e mezza esco dall’albergo di Colle di Val d’Elsa, serve a documentare quell’insegna, infelicemente posta sopra un muretto.
Ambulanti stanno allestendo il mercato.
Un lungo rettilineo su una strada larga mi allontana dal centro del paese, sotto un cielo completamente grigio che, dopo le spettacolari luci estive di ieri a San Gimignano, genera oggi una strana atmosfera autunnale fuori stagione.
“Ciao!” sento dire con voce squillante, una volta poi un’altra ancora, in un tratto privo di marciapiedi, da una coppia di ciclo-viandanti. Rispondo con uguale entusiasmo, poi cerco d’immortalarli al volo.
Un po’ inaspettato compare, sotto un ponte, il padrone di casa di queste prime tre tappe, il fiume Elsa.
Mi rendo conto una volta di più dell’importanza dei nostri fiumi, delle valli che generano e delle arbitrarie piroette dei loro corsi, nel disegnare la geografia umana del territorio.
Poco dopo, come felice e benedetta abitudine francigena, eccola, segnalata vistosamente, una deviazione, che mi allontanerà in fretta, e con suggestivo effetto acustico, verso la campagna.
Dopo il grande fiume, è un piccolo lago stagnante a chiedermi una foto ricordo.
Sto per addentrarmi in un paesaggio di sorprendente, intima bellezza, forse il regalo più grande di questi primi giorni.
Il cielo grigio contribuisce alla magia delicata di questo territorio agreste.
Ecco dimostrata l’origine del nome di quei pastelli della mia infanzia, color “Terra di Siena”…
Il tragitto ora si immerge in una boscaglia, al cui interno ricompaiono tracce della presenza umana, sotto forma di una fattoria popolata da animali.
Oltre ai cavalli e ai maiali, due cagnetti vocianti lungo il sentiero sono sorvegliati dalla padrona, probabilmente la proprietaria della fattoria, che vedo tranquillizzarsi non appena faccio amicizia con quello, dei due, che mi era corso incontro, sempre abbaiando.
Proseguendo, e insospettito dall’assenza di segnavia, un controllo sulla mappa mi indica d’essermi allontanato dalla traccia.
“No buono!” esclamo, nel fare dietro-front, all’indirizzo di una coppia di stranieri, forse olandesi da come li ho sentiti discorrere.
Per fortuna ritrovo la signora dei cagnetti, che mi conferma che, invece, il cammino era “buono”, e che mi porterà, in sequenza, nelle località di Acquaviva, Strove e Abbadia a Isola.
Poiché quest’ultima è la mia meta odierna, le chiedo quanto possa mancare.
“Da qui ci vorrà un’ora”, mi risponde, confermando (non senza mio grande sollievo) l’idea che avevo di una tappa molto più breve delle precedenti.
Ma le belle sorprese non sono finite: una bella casa rurale…
preannuncia l’ingresso in un altro di quegli antichi borghi che l’itinerario francigeno sembra fare uscire come conigli dal cilindro del prestigiatore. Si tratta di Strove.
Superato il piccolo, magico borgo, ritrovo davanti a me i due olandesi, che poi supero nel momento in cui si fermano a leggere un cartello di indicazioni storiche, e che rivedrò un’ultima volta di passaggio dalla mia destinazione.
E la mia destinazione, che oggi raggiungo in meno delle classiche tre ore di metà giro, è un complesso monumentale di grande suggestione, sorto intorno a un’abbazia fondata nel 1001 da una contessa longobarda, Ava dei Lambardi.
Questa è la facciata del chiostro e al primo piano, dietro quelle colonne e un largo corridoio, ci sono le camerate del mio ostello.
Avrò a disposizione, tutta per me, un’intera camerata…
…e, finalmente, tanto gradito tempo, per rilassarmi, radermi la barba e, grazie all’amichevole “servizio navetta” di Nicola, concedermi pranzo e cena in buona compagnia.
Ciao, Franz! Oggi ho incominciato a leggere il tuo bellissimo racconto e sono arrivato qui. Complimenti, tieni duro! Sei in posti fantastici!
Mi ha emozionato il riferimento ai pastelli dell’infanzia, color “Terra di Siena”: ho ben vivo anch’io quel ricordo!
Avanti avanti!
Ehilà, Valerio, son felice che tu sia nuovamente sulle mie tracce!
Eh sì, sto facendo il pieno di bellezza, oltre che di salute fisica con gli allenamenti forzati…
Approfondendo la nostagica rievocazione delle matite colorate, ricordo, credo con precisione, che esistevano due tipologie di “terra di Siena”: quella “naturale” e quella “bruciata”, lontane cugine di “ocra rossa” e “ocra gialla”… 😁
Immancabile pezzo di cammino in compagnia
Una piccola ciliegina sulla torta (sacher…) 😁