6-8: Dalla Tuscia all’Agro Romano

Per affrontare la tappa più lunga di questo viaggio, quasi ventisei chilometri, non c’è che una strategia: alzarsi molto presto.

E, visto che la dotazione del bed and breakfast è generosa (in camera prodotti confezionati in grande quantità e il bollitore per farmi il tè; nel corridoio comune, una crostata intera e una “mattonella” di torta al cioccolato), fare anche una colazione abbondante.

Con soddisfazione riesco a varcare il portone alle cinque, quando è ancora notte fonda.

Poco dopo, varco anche l’antica porta della città.

Più in basso, l’anfiteatro romano, con la sua particolare illuminazione, ha qualcosa di spettrale.

Mi faccio guidare passo passo dalla mappa elettronica, sia perché qui i segnavia sono molto scarsi, sia perché è buio pesto.
Per raggiungere la statale, bisogna percorrere una stradina che si tuffa in una selva oscura. La luce emessa dalla mappa sul tablet, orientata in basso, mi aiuta a illuminare un po’ il cammino.

Sotto uno spicchio di luna in cielo e le luci dei lampioni lungo la statale deserta, quasi a sorpresa, mi ritrovo davanti una giovane donna, che procede di buon passo, apparentemente chiusa nei suoi pensieri.
La felpa sottile, che indosso sopra la maglietta, a fatica mi protegge dal freddo; se avessi un paio di guanti di lana li indosserei volentieri.
La donna ora ha attraversato la strada e, rallentata l’andatura, ha raggiunto la fermata della corriera.
Più avanti, dalla parte opposta alla mia, c’è un’altra signora, ferma ad aspettare qualcuno.
Con mia sorpresa, mentre sto attraversando, forza un saluto a voce alta: “Buongiorno!”
“Buongiorno a lei!”
“È proprio un buon giorno…” replica alludendo all’orario.
“Prima si parte, meglio è, e oggi devo fare ventisei chilometri.”
“È certo… Dov’è diretto, a Roma?”
“Sì.”
“Ma stia attento, lungo la Cassia…”
“No, ma più avanti c’è la deviazione!”
Fa un cenno di aver inteso: “Le auguro buon cammino.”
“Grazie molte, buona giornata!”

L’attesa via laterale mi libera dalle ultime luci notturne della città e dal raro sfrecciare di automezzi.
Ora, su una strada abbastanza larga da non generare problemi di visibilità, anche perché comincia ad albeggiare, sono profondamente e proficuamente solo con me stesso, mentre procedo a passo molto spedito.
Avverto, galvanizzante, una sorta di ebbrezza della velocità, gratuita, ecologica, conquistata senza l’acquisto di veicoli o strumenti sportivi.

Mi appaiono alla mente, chissà in base a quali segreti richiami, memorie di sensazioni remote. Mi faccio cassa di risonanza per apprezzarle appieno, come non mai, in una sorta di meditazione spontanea.
Un lungo cammino, nella sua girandola di fatiche, incontri, luci e situazioni, può contemplare anche questa.

Intanto sono di nuovo contornato da noccioleti.
Se a qualcuno può interessare…

Qualche nuvoletta rosa annuncia il sorgere del sole, che tuttavia oggi troverà, nelle prime ore, lo schermo di ammassi nuvolosi.

Incentivato da una lieve pendenza in discesa, continuo a camminare veloce, con la coscienza di guadagnare terreno sulla tabella di marcia.

Ora ho rallentato un po’ quell’andatura esuberante, che non si addice a percorsi lunghi: molto meglio un passo cadenzato ed essenziale.

Un’amica che ne possedeva alcuni, mi disse, non so con quanto fondamento, che i cavalli sono animali anaffettivi.
Questo sembra davvero del tutto disinteressato alla mia presenza e alle parole, sostenute e affettuose, che gli rivolgo.

Poco dopo, un cancello importante con un cartello magniloquente, annuncia un’area e una struttura dedicata al golf, sotto l’egida della federazione nazionale.

In effetti i campi si snodano, sia a sinistra che a destra della strada, per un’area che mi farà compagnia per diversi minuti, con i suoi paesaggi prativi tanto belli quanto insostenibili ambientalmente, a causa degli ettolitri d’acqua di cui sono bisognosi, alla faccia dello sport ecologico.

A differenza di ieri, quando raggiunsi l’unico paese intermedio dopo ben quattro ore di cammino, quello di oggi, Monterosi, è ubicato prima della metà, e vi accedo dopo due ore e mezza.
Tempo comunque sufficiente da meritare una sosta e una spremuta d’arancia al primo bar.

Entro alle sette e mezza, nel classico orario di punta dei caffè.
Seduto all’interno, mi godo un ambiente piuttosto “caciarone”, in cui fanno a gara a chi parla più forte. Ma il clima che respiro mi sembra straordinariamente umano, solidale e allegro.
Gli unici dall’aria triste e taciturna, muniti di museruola professionale blu perfettamente calzata, sono due giovani poliziotti, in piedi in fondo al banco, che però presto se ne vanno, salutati amichevolmente dal barista.
Arriva, poi si infila dietro il banco, una ragazzona alta dal passo deciso e con un’espressione incredibilmente felice, nel momento in cui comincia una nuova giornata di lavoro.

Questa è un’oasi di resistenza, mi viene spontaneo pensare. Con questa gente qua, gli orditori planetari di paura, tristezza e divisione non avranno mai gioco.

Attraverso il centro del paese, più animato di quanto non appaia in quest’immagine, poi proseguo lungo la Cassia, mantenendomi sul marciapiede a destra.
Più avanti, il tracciato sulla mappa prevede una deviazione ad angolo retto sulla sinistra.
Mi ci separano due semicarreggiate protette da alti muretti e percorse da veicoli indemoniati.
Mannaggia, ho perso una micro-deviazione per attraversare, quando era possibile, e proseguire sull’altro lato.
Non ho nessuna voglia di tornare indietro: affronto di slancio gli attraversamenti e, con cautela, gli scavalcamenti, poi fotografo l’ostacolo superato.

Con l’uscita dal comune di Monterosi e dalla provincia di Viterbo, si lascia alle spalle la Tuscia e si entra nell’Agro Romano, una sorta di corona circolare verde disposta intorno all’area metropolitana.
Il paesaggio si fa bucolico e affascinante.

È in questo splendido ambiente che faccio un nuovo incontro.
Procede nel senso opposto a quello canonico, proprio come lo svizzero Florent incontrato l’altro ieri.
Facciamo immediatamente conoscenza.

Si chiama Antonio, è di Benevento ma studia a Roma e da lì è partito, due giorni fa, per l’intero itinerario italiano, fino al Passo del Gran San Bernardo, da dove io cominciai l’avventura un giorno giá lontano, due anni fa.
Già la sua idea di partire a piedi me lo fa sentire affine; quando poi mi dice che per fare il Cammino di Santiago lasciò Benevento in autostop, capisco, con entusiasmo, di aver trovato un raro rappresentante della mia stessa razza.
Lui, anzi, è ancor più integralista di me; mi confida che, nei limiti del possibile, preferisce chiedere indicazioni ai passanti piuttosto che a strumenti elettronici.
Gli chiedo, prima di raccontargli le mie esperienze di viaggi a piedi, se sui sentieri spagnoli abbia o meno trovato l’effetto processione. Facendo la cosiddetta variante francese, mi spiega, gli assembramenti non ci sono.

Dopo alcuni minuti di scambio di pareri ed esperienze, viene il momento di scambiarsi anche il “buon cammino”, in modo particolarmente sentito e caloroso.

Dopo il felice incontro, lo spettacolo paesaggistico riprende,

nella valle del limpido torrente Treja,

dove una piccola, affrontabile deviazione, permette di osservare (quanto meno) la prima delle Cascate di Monte Gelato.

I chilometri si susseguono, mentre il clima resta abbastanza ventilato e il paesaggio, così come il sentiero, alterna scorci pianeggianti e collinari.

Ora la fatica si fa sentire, dopo cinque ore e mezza di cammino interrotte da una sola sosta non lunga.
Ma i chilometri all’arrivo stanno già facendo un conto alla rovescia.

Mi aspetto di entrare gradualmente nell’abitato di Campagnano e invece, come e più di ieri a Sutri, il paese appare d’improvviso, compatto e, ahimè, sopraelevato.

La salita, durissima, impone di andare adagio, zigzagando quando si può. Anche se l’affronto malvolentieri, ho l’impressione di riuscirci senza problemi.

Conquistato il paese, devo poi attraversarlo completamente,

per raggiungere, prospiciente sull’ultima piazza, il mio albergo.

Per la prima volta non avevo telefonato per concordare l’arrivo: la presenza del contestuale ristorante, aperto anche a pranzo, mi sembrava una garanzia sufficiente.

Ma le cose cambiano: trovo tutto chiuso; il ristorante aprirà solo di sera.
Contattata per telefono, la proprietaria, che dalla voce scambio per un uomo, è collaborativa. Mi spiega dove nascondere lo zaino e mi dà appuntamento dopo un’ora per l’accesso alla camera.

Un’ora che spendo nella vicina pizzeria, accarezzato da un bel venticello fresco,

in questo modo:

accompagnando il tutto con una Moretti da sessantasei centilitri (che non sarà particolarmente buona, ma… è tanta!) e un caffè riparatore.

Dopo, come potete immaginare, la vita assume colorazioni molto dolci……

Informazioni su Franz

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8 risposte a 6-8: Dalla Tuscia all’Agro Romano

  1. Franz ha detto:

    “Questa è un’oasi di resistenza, mi viene spontaneo pensare. Con questa gente qua, gli orditori planetari di paura, tristezza e divisione non avranno mai gioco”. Che tocco!
    Davide.

  2. Elisabetta Lefons ha detto:

    Belle foto e bello il tuo modo di narrare….grazie.

    Un abbraccio,

    Betta

  3. Valerio ha detto:

    Fantastica la partenza nel buio totale, e poi l’incontro con le persone già sveglie, le meditazioni e le sensazioni remote… e infine l’oasi di resistenza di Monterosi.
    Ancora i noccioleti, perbacco! 😀 Prima di ieri non ne avevo mai sentito parlare!
    Bellissimo personaggio Antonio!
    Splendide le immagini dell’Agro romano e di Campagnano… che salita, mammamia!!
    Perfetto il finale con pizza, insalata e birra!
    Complimentissimi, Franz, avanti avanti!

  4. Gilda D'Elia ha detto:

    Francesco, complimenti per le foto!!!! Sono bellissime e molto curate. MI piace molto la cura e l’attenzione che metti nel redigere questi reportage… e gli effetti si vedono!!!!

Commenti:

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