Messaggio Urbi et Orbi 2025

Ecco come sempre, in prossimità delle festività di fine anno, il mio annuale “Messaggio”.
Che, più o meno da tradizione, sarà composto essenzialmente da tre approcci in sequenza: quello confidenziale, riguardante la mia vita; quello di lettura della realtà attuale; e infine quello filosofico/sapienziale.

Più che mai avverto quest’anno la difficoltà di fornire sintesi efficaci, a cui sarò costretto a sfuggire grazie all’appoggio di contributi esterni.
Ovviamente ciò non vale per quanto riguarda il primo ambito; supero la ritrosia nel rendere pubblici gli aspetti della mia esistenza quotidiana, solo grazie alla speranza che questo possa fornire qualche utile indicazione.

Come vedremo, è stato per me un anno irto di difficoltà.
La salute fisica, per fortuna, non ne ha risentito: nei tre anni di vita qui a Tenerife sono riuscito a dimenticare che cosa siano un raffreddore o un’influenza, cosa che sicuramente mi è stata garantita anche dal rifiuto a farmi iniettare schifezze al tempo del Covid e, in generale, dalla mia radicale diffidenza nei confronti dei farmaci, soprattutto quelli cosiddetti sintomatici.
Mi curo con il riposo e l’ascolto dei segnali del corpo. Inoltre con la dieta: vegetariana e, ormai da qualche anno, caratterizzata dal “digiuno intermittente”, cioè dal saltare sempre la cena. Avvertii ben presto e con nettezza, a suo tempo, i benefici di quest’ultima scelta.

Tuttavia qualche pensiero non da poco mi venne da un’aritmia cardiaca, che interpretai come conseguente ai miei allenamenti di corsa podistica.
Evitando di rivolgermi al mio medico personale, che intuivo mi avrebbe costretto a una trafila stressante quanto inutile di esami, mi sono curato, ancora una volta, col riposo e l’ascolto, giungendo a sradicare il disturbo in modo graduale e infine molto soddisfacente. Alcune escursioni in montagna, anche lunghe e faticose, mi hanno confortato circa il recupero della capacità di affrontarle, almeno quelle, senza problemi.

Le difficoltà a cui accennavo sono venute, soprattutto nei mesi primaverili, da una vera e propria persecuzione telematica da parte di un “pirata” indonesiano, dotato di grandissima abilità, tanto da riuscire sistematicamente a intrufolarsi, pur da così lontano, nel mio campo domestico di wi-fi e dunque a carpire le informazioni via internet da me trattate col computer e col telefono.
Inizialmente si è impossessato di una parte non trascurabile del mio patrimonio in criptovalute, poi del mio indirizzo principale di posta elettronica, impedendomene l’accesso.

Con la collaborazione del fornitore (Protonmail) sono riuscito (dopo una serie infinita di verifiche d’identità) a recuperare e blindare tale accesso.
Per quanto riguarda le criptovalute, invece, non finirò mai di ringraziare gli amici Andrea Bertocchi e Luca Serleto, i due giovani personaggi di spicco di Metatron Ecosystem, sia per essere riusciti a farmi recuperare tutto ciò che avevo investito presso di loro, sia per aver fornito ulteriori strumenti d’investimento che hanno di gran lunga superato quanto mi era stato rubato.
É un ambiente, quello, caratterizzato da genialità, passione e, al contempo, autentica attenzione umana nei confronti dei seguaci e degli investitori. Frequentissime le loro trasmissioni via “Zoom”, spesso rese interminabili dalla quantità di domande a cui pazientemente rispondono.

C’è voluto del tempo, prima che cessassero gl’indizi di nuovi attacchi da parte del pirata, ma da un paio di mesi ho finalmente recuperato la tranquillità, grazie a due principali strumenti di difesa.
Il primo è il collegamento diretto via cavo con il router-modem ogni volta che tratto dati sensibili; a dir la verità questo era già uno dei consigli di sicurezza da parte di Luca, che dopo i primi tempi avevo ignorato per comodità, immaginando si riferisse solo a possibili attacchi dei vicini di casa.
Il secondo strumento, che ho scoperto per mio conto e che giudico potentissimo, è il VPN, un programma che, applicato sistematicamente al computer e al telefono, cripta tutto il traffico via internet, oltre a camuffare l’indirizzo fisico-telematico con quello generico della propria nazione o di un’altra a propria scelta.

Alle noie informatiche, come in parte ho raccontato qui nel blog, si sono sommate anche quelle relative a due furti del mio portafoglio, contenente quasi tutti i miei principali documenti.
In particolare, un mese fa, dopo una lunga attesa ero appena riuscito a ottenere l’ultimo documento ancora in sospeso, la patente spagnola (in sostituzione di quella italiana in scadenza), quando, questa volta non mi è del tutto chiaro come, mi è stato rubato anche il nuovo portafoglio, costringendomi a ripercorrere le trafile burocratiche (fra cui l’ottenimento di un nuovo permesso provvisorio di guida), se non altro questa volta con maturata esperienza…

Per non dilungarmi, trascuro di approfondire un altro tema, quello del faticoso apprendimento della lingua spagnola, limitandomi a dire che deve scontare un calo della memoria legato, ahimè, alla mia ormai veneranda età.

Per passare al secondo ambito, quello sulla lettura e interpretazione della realtà sociale, politica e culturale.

Mi sono convinto, e credo di non essere il solo, che stiamo vivendo una svolta storica quasi senza precedenti, grazie alla sostituzione di una classe di grandi burattinai mondiali, associati fra loro al vertice di una piramide e sempre più mostruosamente ricchi, con una nuova classe di potenti, certo non insensibili al dio denaro, ma almeno orientati a un buon livello di autonomie nazionali.
Purtroppo l’Europa è diventata attualmente l’ultimo baluardo dei vecchi signori, fra l’altro ostinatamente guerrafondai, che continuano a infestare la stampa, le televisioni pubbliche e i partiti politici (soprattutto una sinistra degenerata) con i loro messaggi subdoli, non senza esito nei lettori/ascoltatori/elettori più o meno ingenui.
Recentemente, questa accolita di pazzi sta vacillando, sotto i colpi di alcuni coraggiosi ribelli con il sostegno degli Stati Uniti di Donald Trump, e tutto lascia pensare che finalmente crollerà, lasciando anche il Vecchio Continente nel nuovo disegno delle autonomie/influenze globali, che ci vede ovviamente posizionati nell’area statunitense, benché, si spera, con un grado di libertà maggiore che in passato.

Come accennato sopra, mi vedo costretto ad approfondire questo tema grazie a un contributo esterno, da parte di un commentatore che, grazie a doti d’intelligenza e di formazione pluridisciplinare, ritengo di gran lunga il più acuto che ci sia sulla piazza: Gianmarco Landi.
Il video che ho scelto è stato girato meno di un mese fa niente meno che a Tenerife, dove si è recato per qualche giorno nel sud dell’isola. Impegnato com’ero con un gruppo di vecchi amici in vacanza qui, non sono potuto andare ad ascoltarlo, ma ho poi apprezzato più che mai, nella videoregistrazione, il livello onnicomprensivo della sua visione della realtà, se sorvoliamo sui voli pindarici pseudo-spiritualisti sul finale del lungo intervento (clicca qui).

Mi sembra importante aggiungere, a questo contributo, un paio di altri temi; il primo ancora una volta esterno, il secondo invece scritto di mio pugno.

Il primo costituisce un importante campanello di allarme, in contrapposizione alla visione nettamente positiva di Landi: si tratta del monopolio (di fatto) nella fabbricazione di microchip da parte di TSMC, un’azienda situata a Taiwan, e delle gravissime implicazioni che deriverebbero, in questa situazione, a seguito della più volte preannunciata invasione di Taiwan da parte della Cina.
A parlarcene, con la sua consueta chiarezza e ricchezza di contenuti, è un altro brillantissimo commentatore, Stefano Demasi, in questo articolo.

Come ultimo contributo alla lettura della realtà attuale, avverto l’urgenza di riproporre un antico cavallo di battaglia di questo blog: l’ecologia e la cosiddetta decrescita.
Il cambiamento mondiale in atto della classe di potere ci indica visioni assai suggestive di straordinario progresso e ricchezza distribuita, probabilmente grazie anche alla liberazione dalla schiavitù del petrolio in favore di energie alternative fin qui sistematicamente boicottate nelle relative promettenti ricerche.
Sto notando come tutti i principali commentatori liberi cavalchino, come del tutto superato in quanto utile ai vecchi burattinai, l’allarme ecologico (leggi, principalmente: l’ossessiva lotta al cambiamento climatico).
Dimenticandosi così quel minimo approccio critico che mostrerebbe, comunque, l’urgenza di rivedere i criteri di produzione e distribuzione di merci e alimenti in una prospettiva di rispetto ambientale.
Certo, sono d’accordo anch’io che liberarci da quella dittatura mondiale di stampo pseudo-comunista progettata dai vecchi padroni del vapore, oltre a costituire un enorme pericolo scampato, ci porterà a straordinari sviluppi, ma se non ci riappropriamo di un rapporto sano sia con l’ambiente che ci fornisce le risorse, sia con le cose essenziali da desiderare, in sostituzione dell’ (ahinoi) radicato e avido consumismo, anche la nuova civiltà finirà ben presto racchiusa entro orizzonti angusti.

Ed eccoci all’ambito conclusivo, il più importante, di questo Messaggio, ambito che ho definito filosofico/sapienziale per non usare l’abusato termine “spirituale”.

Come già ho raccontato qui un paio di volte, la mia vita ha conosciuto una svolta importante, profondamente positiva, da quando ho avuto la fortuna di avvicinarmi al pensiero di un grande conoscitore sia della filosofia occidentale che delle numerose scuole di pensiero orientali.
Si tratta di Franco Bertossa, istriano di famiglia e di nascita, ma cittadino italiano (e bolognese!) fin dai primi anni della sua vita.
È l’animatore di un centro studi e attività, denominato ASIA, e instancabile diffusore dei propri concetti (quotidianamente tramite la sua pagina Facebook).
Lascio a lui la parola, tratta da un suo recente scritto: clicca qui.

Il testo che ho linkato tratta il suo principale insegnamento: l’infondatezza e assurdità logica di tutto ciò che esiste, in quanto una causa originaria dell’esistenza (Dio compreso) non sfuggirebbe al fatto di esistere già a sua volta.
Trovo tale indicazione di una semplicità e al contempo di una potenza straordinarie, in grado, teoricamente, di distruggere qualsiasi religione. Ma, per fortuna, non un atteggiamento comunque positivo di stampo buddista nei confronti dell’esistenza, come chiaramente spiegato.
Tramite la disciplina della meditazione si può giungere all’accettazione profonda (talvolta tramite la deflagrazione di un evento d’illuminazione) di tutto ciò, non solo, ma anche alla percezione inequivocabile della non caducità, cioè dell’eternità, della nostra esistenza personale.

Un altro tema caro a Bertossa, non presente nel testo che ho linkato, è l’impossibilità del libero arbitrio, che ingannevolmente sembra offrirsi nelle nostre scelte a vario livello.
Come già ho avuto modo di scrivere in passato, personalmente è un concetto che trovo quanto mai liberatorio, in presenza di una mia forte tendenza all’autocritica, acuta soprattutto nei confronti del passato.
Tutto si muove come l’acqua di un fiume, a cui non resta che affidarsi con abbandono.

Concordando con questi concetti basilari, mi sono poi chiesto il perché dell’incredibile complessità dell’universo, dal livello sub-atomico fino agli spazi e ai tempi che sfuggono alla nostra immaginazione (come dimostrano le assurde teorie circa le visite di alieni); tale sbalorditiva complessità non è certo scontata, rispetto a quei presupposti sull’esistente.
E si è riaffacciata alla mia coscienza la possibilità, se non di un dio onnipotente, quanto meno di un Grande Architetto, artefice di tale progetto organizzativo.
Mi è di conforto e di aiuto potermi abbandonare, anche tramite la formulazione ripetuta di un mantra, non tanto a un assurdo ordine delle cose, quanto a un’entità regolatrice, in un piano liberatorio che ci sovrasta.

Credo, con ciò, di poter concludere questo mio annuale scritto, in tempo per poterlo pubblicare prima delle feste.
Ringrazio chi ha avuto la pazienza di seguirmi fin qui e invio a tutti un caloroso augurio di giornate autenticamente festose, nonché di un nuovo anno ricco di cose belle.
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Gesù

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Alcuni anni fa rimasi affascinato da una ricca sintesi in italiano del libro “La vita di Gesù in India”, scritto dal tedesco Holgen Kersten a più riprese, a partire dal 1983. La stampai e la conservai con cura, purtroppo però non sufficiente a sopravvivere al trasloco per il mio espatrio circa tre anni fa.

Dopo essermi riproposto a lungo di ricercarla in internet, qualche sera fa mi sono messo d’impegno (e ce n’è voluto davvero…) per ritrovarla, alla fine con successo. A dir la verità, quella che ho riscoperto mi sembra ancor più dettagliata rispetto a quella che ricordavo, al punto da avermi costretto a più riprese a effettuare dei salti nell’ambito di una lettura comunque, nel complesso, estremamente avvincente.

Con una mole di indizi e considerazioni che reputo sia verosimili che convincenti, e, sinceramente, ben più delle “verità della fede” professate dai cristiani di qualsiasi magistero, l’autore ipotizza dapprima una formazione nei paesi orientali di Gesù negli anni giovanili, in seguito che egli sia stato sottratto alla morte dalla croce, e infine che abbia vissuto ancora a lungo, migrando nuovamente in oriente e soprattutto in India, lasciandovi parecchie tracce della sua presenza.

Ricordo che il particolare che trovai più convincente da quella prima sintesi fu la grandissima quantità di erbe curative portate ai piedi della croce.
Trascrivo qui di seguito, a questo proposito, i passi presenti nel documento che ho trovato.

Giuseppe di Arimatea, Nicodemo e il centurione Longino erano fra i seguaci segreti di Gesù. Influenti come posizione e rango, essi erano informati con buon anticipo su cosa avrebbe portato l’arrivo di Gesù, considerato pubblicamente pericoloso.
Giuseppe era grandemente rispettato come membro del Sinedrio, che aveva autorità su tutti gli affari di stato in cui fosse coinvolta la religione ebraica, compresa l’amministrazione della giustizia.
Nicodemo, che aveva ricevuto gli insegnamenti di Gesù protetto dall’oscurità della notte, era anche un notabile giudeo.
Grazie a questi incarichi, Giuseppe e Nicodemo sapevano che la crocifissione non poteva essere evitata. Ma se avessero potuto fare in modo di tirare giù Gesù dalla croce abbastanza presto e se tutto fosse andato secondo i piani, sarebbe stato possibile tenerlo in vita, in modo che avrebbe potuto probabilmente continuare la sua missione sotto altro nome. Era di vitale importanza per tutta l’operazione che gli apostoli non fossero coinvolti. Essi si erano nascosti per timore di persecuzioni. Nessuna azione sarebbe stata intrapresa contro i rispettati notabili Giuseppe e Nicodemo o contro il centurione romano.
(…)
La cosa più strana di tutto quello che è stato descritto in relazione alla sepoltura e alla tomba è la presenza di quella quantità di erbe straordinariamente grande. Qual era il loro scopo, poiché esse non avevano niente a che fare con una sepoltura?
L’ Aloe vera è una pianta originaria della parte sud-occidentale della penisola arabica. Un gel a stick ricavato da quella pianta veniva usato nell’antichità soprattutto per curare ferite, infiammazioni locali e scottature.
Il secondo tipo di spezia portato da Nicodemo era la mirra, una resina gommosa ricavata da arbusti; la fragranza aromatica della mirra aveva un ruolo importante negli antichi rituali dell’India e dell’Oriente. Era usata fin dai tempi più antichi per la medicazione delle ferite. L’aloe e la mirra erano comunemente usate nella cura di grandi porzioni di tessuto danneggiato perché potevano facilmente essere composte come unguenti e tinture.
E’ evidente che queste miscele rappresentavano, al tempo di Gesù, il mezzo universalmente riconosciuto per ottenere la guarigione più efficace e più rapida delle ferite, insieme alla maggiore protezione possibile contro le infezioni.
Non c’è alcun dubbio che Nicodemo si era procurato una quantità veramente sorprendente di erbe medicinali altamente specifiche con l’unico scopo di curare le ferite sul corpo di Gesù.

Ma la mia fruttuosa ricerca dell’altra sera mi ha concesso un ulteriore regalo, relativo a un passaggio di fondamentale importanza che non ricordavo di aver letto nella versione precedente.
Mi riferisco alla disputa sulla veridicità della sindone.
Ricordo bene quando, da giovane, attesi con ansia i risultati del relativo esame multiplo al radiocarbonio e la delusione alla notizia che quel lenzuolo era soltanto di origine medioevale.
Ora, l’autore del libro, e della sintesi in oggetto, smentisce clamorosamente queste conclusioni, ridando veridicità alla reliquia (e di conseguenza all’affascinante immagine del volto di Gesù che ne è derivata): la falsificazione dei risultati si sarebbe resa indispensabile per mascherare proprio il fatto che le tracce si riferiscono a un corpo ancora vivo.
Leggiamo i passaggi in oggetto:

A tre laboratori specializzati nella datazione di materiale archeologico furono consegnati campioni della dimensione di un francobollo del lenzuolo di Torino.
Nell’ottobre 1988 il sensazionale risultato fu reso noto al pubblico: l’esame aveva dimostrato al di là di ogni dubbio che il tessuto aveva avuto origine nel Medio Evo (in un periodo fra gli anni 1260 e 1390).
Questa scoperta, che contraddiceva tutti i risultati delle ricerche precedenti, mi fece sorgere subito dei sospetti sull’accuratezza con cui era stata eseguita la datazione.
Avevo studiato la storia della Sindone per molti anni: sapevo per certe molte cose che provavano attivamente che quel tessuto era esistito prima del Medio Evo. Dovevo andare ad esaminare a fondo i procedimenti di prova. Fu l’inizio di tre anni di un lavoro da detective che mi portò in tutti i luoghi in qualche modo interessati alla datazione al radiocarbonio.
Mi risultò ben presto evidente che gli scienziati che avevano preso parte alle prove avevano qualcosa da nascondere. Per vie traverse e con grande difficoltà, riuscii finalmente ad ottenere fotografie fortemente ingrandite dei pezzi di tessuto che i laboratori avevano ricevuto per eseguire la datazione.
Ho fatto esaminare queste foto da parecchi istituti specializzati in questo genere di lavori e confrontare al computer le immagini digitalizzate con le fotografie di ciascun frammento originale prese direttamente prima che venisse tagliato via.
I risultati furono chiari e decisivi: i pezzi di tessuto datati nei laboratori non potevano provenire dal tessuto originario!
Proseguendo le mie indagini scoprii che i campioni esaminati con la tecnica del radiocarbonio erano stati presi da un abito tenuto fin dal 1296 nella basilica di San Massimino nella Francia meridionale, il mantello da cerimonia di San Luigi d’Anjou.
Questo ha provato una volta per tutte che la datazione della Sindone di Torino è stata manipolata: l’idea era di presentare il lenzuolo come una contraffazione medioevale, e così porre fine a tutte le discussioni sulla questione se Gesù fosse o no sopravvissuto alla Crocifissione, discussioni che avrebbero scosso la Chiesa Cristiana fin dalle fondamenta.
La datazione al radiocarbonio del 1988 si è rivelata niente più di un cinico tentativo di imbroglio. Certamente non prova che la Sindone ha soltanto settecento anni: in effetti, la falsificazione intenzionale e fraudolenta dei risultati delle prove è invece una prova aggiuntiva che la Sindone di Torino è realmente il lenzuolo in cui Gesù fu avvolto un tempo, e che Gesù era ancora vivo quando vi fu “posto a riposare”.

Mi auguro che i due lunghi stralci dalla sintesi del libro di Holgen Kersten che ho qui trascritto abbiano quanto meno destato curiosità e, magari, la voglia di approfondire e scoprire alcuni fra i molti altri tesori nascosti nel lungo documento che ho ritrovato, e che potete leggere per intero cliccando qui.

La figura storica di Gesù, per molti aspetti (e inevitabilmente) enigmatica, ne esce con un fascino, se possibile, ancora più coinvolgente.
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Allenamenti intensivi – 5

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In molti dei miei scritti precedenti a questo lungo racconto, ho fatto cenno al mio maestro spirituale (che in realtà dovrei definire “maestro di pensiero”, non avendone appreso dal vivo le tecniche di meditazione).

Si chiama Franco Bertossa (qui ritratto con l’amatissima nipotina), 
è nato settantuno anni fa in Croazia, per poi stabilirsi fin da bambino in Italia. Risiede a Bologna dove ha fondato il centro di studi e discipline ASIA.
Lo si può seguire, quasi quotidianamente, sulla sua pagina Facebook.

Ho finalmente l’occasione di approfondire qui il suo pensiero, per illustrare in che terreno, sia pur con tutte le mie fragilità, sia caduto un percorso a ostacoli così estremo, come quello degli ultimi quattro mesi appena raccontato.

L’esperienza dell’illuminazione, frequente nella spiritualità orientale, ma possibile anche nella cultura razionale dell’occidente, come ha testimoniato meglio di altri il filosofo Martin Heidegger, è un fenomeno (circoscritto e databile) che svela improvvisamente la “mostruosità” delle cose esistenti, in antitesi al nulla di ciascuna di esse.
Ragionandoci a posteriori, si rivela come ogni causa di esistenza, infatti, sarebbe a sua volta un oggetto esistente, in un impossibile vortice infinito.
Oltre che uscirne profondamente frastornati, è possibile ricavare per il resto dei propri giorni, come nel caso del citato Maestro, un profondo e imperituro senso di riconoscenza circa tale miracolo.

Ma riconoscenza verso chi, verrebbe invano da chiedersi, visto che qualsiasi dio onnipotente non può esistere, poiché, in quanto esistente, sarebbe a sua volta soggetto a quel vortice impossibile di causa ed effetto.
Nella sua semplicità, quest’ultima è un affermazione tanto forte quanto, credo, insindacabile.
“Ma Dio esiste da sempre e per sempre!” qualcuno protesterà: facile ribattere come, sia pur da sempre e per sempre, si troverebbe comunque anch’esso “mostruosamente” esistente, come ogni altro oggetto della realtà, senza poterne giustificare il fatto, venendo così meno la sua onnipotenza.
E anche nell’ipotesi che tutte le cose esistenti siano opera della sua creazione, resterebbe l’impossibilità logica, la “mostruosità” dell’esistenza di lui stesso, di certo impossibilitato ad auto-crearsi dal nulla.

Oltre a questo concetto fondamentale, Bertossa ne sostiene altri, spesso tratti dalle numerose correnti della sapienza orientale, di cui è un approfondito conoscitore.
Nonché, di tanto in tanto, uno ancor più lontano dal nostro comune sentire: la mancanza del libero arbitrio, cioè la totale predeterminazione di qualsiasi evento e momento, in un colossale disegno collettivo che ci sovrasta.
In questo caso, lo sostiene non in base a una ferrea dimostrazione, ma ad alcune suggestioni, tese a mostrarci come la nostra coscienza ci mostri la realtà sempre con un ciclo di ritardo, alla stregua di un treno che esce dalla galleria, senza che si possa vivere l’evento dell’uscita se non a posteriori: allo stesso modo, l’evento vissuto della scelta ci apparirebbe solo dopo che questa sia già avvenuta.

Per quanto mi riguarda, al di là di tali suggestioni più o meno convincenti, ho fatto mio tale concetto almeno per tre motivi.
Il primo è per l’apparente (se non addirittura evidente) impossibilità di smentirlo.
Il secondo è per l’autorevolezza di pensiero del Maestro che lo sostiene.
Il terzo, ma non ultimo, per il sano sollievo che me ne deriva, rispetto al ricorrente ripresentarsi alla mente dei tanti errori commessi lungo il cammino, il cui opprimente senso di colpa va così spegnendosi.

Per quel che riguarda invece l’impossibilità di un dio, mi sono chiesto se sia ipotizzabile quanto meno l’esistenza di un Grande Architetto, artefice di come sia plasmata e strutturata l’impressionante realtà dell’universo in cui viviamo, nel suo livello sovrumano di perfezione, macroscopica così come microscopica, nei suoi quasi immensi spazi e tempi.
Tale perfezione non è certo una necessità logica dell’illogico esistere di tutte le cose, configurandosi dunque come un mistero nel mistero.

Come pure è quello del male, della presenza sulla scena di forze tese alla distruzione, di cui non si può vedere assolutamente il perché.

Sulla mia ipotesi del Grande Architetto scrissi al Maestro; con mia sincera sorpresa mi rispose affermativamente, dicendola possibile, anche se poi non l’ha mai citata nei suoi scritti.

Per quanto riguarda la presenza del male, invece, fermo restando il relativo profondo mistero, mi verrebbe da suggerire l’idea che si mostri comunque costituzionalmente più debole, a fronte della perfezione della realtà (e, soggiungo, della forza dell’amore) e, come tale, destinato a soccombere.
E mi verrebbe da dire che, altrimenti, il suo compito distruttivo si sarebbe già concluso.
Ma è vero anche il contrario: perché mai, se più fragile, è ancora ben presente sulla scena, lungi purtroppo dall’essere definitivamente sconfitto?
Perché la progressiva devastazione ambientale da parte di un’umanità numericamente sempre e rapidamente più popolosa? Perché guerre e atrocità di cui tutti i giorni veniamo a conoscenza?
Non ho ovviamente risposte; restano campi di appassionata indagine.

Accettare la predeterminazione di quanto ci accade rende logicamente assurda la preghiera, se intesa come richiesta di particolari grazie.
Ma c’è un’altra forma di preghiera, che mi ha dato aiuto e sostegno nelle notti più angoscianti di quest’ultimo periodo di vita, e, quella sì, ha senso ripeterla, come e con un mantra (che, per pudore, non citerò).
È la professione dell’incondizionata sottomissione e adesione al disegno che sovrasta la propria esistenza.
Per la ferrea logica, anche questi momenti di preghiera non derivano da una libera scelta, ma sono a loro volta inscritti nel nostro cammino.
Tuttavia, si può dedurre e constatare come questo esercizio costituisca una sorta di allineamento sempre più perfetto e rasserenante fra volontà e destino.

L’ipotesi, poi, di un Grande Architetto, personalizza tale preghiera, rendendola del tutto simile, se confrontata con quella cristiana, in una parte fondamentale dei suoi contenuti, cioè il “sia fatta la Tua volontà” del Padre nostro, concetto peraltro presente anche nelle altre religioni.

Ho dunque intitolato “Allenamenti intensivi” il racconto di questo difficile passaggio della mia vita, anche in una prospettiva metafisica, che cioè tutto ciò abbia avuto lo scopo di fortificarmi, in vista della vecchiaia e del trapasso.
Nella stessa prospettiva di allenamento, mi piaceva sostenere, dopo le prime batoste ricevute, che i momenti di sollievo e ripresa costituissero da soli una ricompensa sufficiente al sacrificio. Poi, a dir la verità, non è stato più così: la dimensione dello stress ha preso il sopravvento.
Ne sto uscendo con sollievo ora, nel cosiddetto ritorno alla normalità, che, in questi giorni, lo stesso catartico raccontare per scritto ha finalmente favorito.

A questo punto, coerentemente con i pensieri sopra espressi e ringraziando chi mi ha voluto seguire fin qui, non mi resta che augurare a tutti noi una profonda, reale e salvifica adesione al disegno di vita che, in maniera del tutto gratuita, abbiamo ricevuto.

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