Allenamenti intensivi – 2

Ho una cara amica di vecchia data afflitta da una malattia rara, che a periodi alterni la debilita e le impedisce una vita attiva nonché la sua libera attività professionale.
Per fortuna ha sempre cercato cure non convenzionali: a detta sua, e non stento a crederlo, altrimenti non sarebbe più al mondo, mentre, grazie a felici incontri dovuti alla sua inguaribile curiosità, ha trovato, ora più che mai, specialisti e protocolli di cura molto probabilmente decisivi.
Anche lei si è avvicinata al mondo di Metatron, cosa che ci permette frequenti chiacchierate di aggiornamento sulle loro continue novità.
Verso la metà dello scorso aprile mi lasciò un messaggio in segreteria.
Con voce disperatamente desolata mi diceva che, in seguito a un trasferimento di portafoglio richiesto dai nostri amici, non riusciva più a vedere il contenuto di un sottoconto di cripto. E che il servizio di supporto fino a quel momento non era riuscito a sbloccarla, richiedendo sempre, a tal fine, la chiave privata numerica di tale sub-account, quando a entrambi risultava che la “seed phrase” di dodici parole costituisse una chiave d’accesso necessaria e sufficiente per rigenerare l’intero portafoglio.

Ero rimasto sveglio a ragionarci sopra, fino ad avere un’intuizione, dettata anche dalla mia più recente esperienza pratica.
E gliel’avevo indicata, a mia volta in un messaggio.
La mattina ci sentimmo; lei continuava ad essere pessimista, ma la convinsi a provare il tipo di accesso che le consigliavo con precisione.
Dopo un quarto d’ora mi richiama con voce grata e trionfante: le sue cripto, in quel modo, erano magicamente ricomparse.

Cominciava benone così la mia giornata, che prevedeva poi l’appuntamento, a una mezz’ora di auto, con una delle officine abilitate per la revisione obbligatoria biennale.

Questa avvenne con assai decisa e pignola attenzione verso tutti i dettagli, e comunque con esito felice.
La doppia soddisfazione, unita a uno di quei giorni in cui il sole di questa latitudine splende in maniera debordante, meritava di essere festeggiata andando alla scoperta, sulla via del ritorno, di un ristorante della mia città di cui avevo letto ottime recensioni, situato di fronte all’Orto Botanico.
Nel lungo rettilineo che si diparte da quest’ultimo, di solito non è difficile trovare parcheggio, ma quel giorno di metà aprile dovetti proseguire oltre un paio di rotonde, per un totale di circa un chilometro.
La passeggiata di riavvicinamento al ristorante, in quelle condizioni di luce esteriore e interiore, iniziò in modo assolutamente festoso, fino a incontrare, fermo sul mio stesso marciapiede, un tizio che mi sorride e mi saluta come un vecchio amico.
In questi casi, conoscendomi scarso fisionomista, sono propenso a ricambiare con finto calore.
Il tizio mi si affianca mentre riprendo il cammino; parlando spagnolo con sicurezza mi chiede la mia nazionalità. Lui è greco, dice. E scambiamo qualche frase di prammatica sulla triste situazione in cui hanno fatto sprofondare l’economia e il tenore di vita di quel popolo.
Poi d’improvviso cambia discorso, mi chiede se conosco le danze sudamericane. Mi dice che per ballare la salsa bisogna lavorare con questo muscolo, e, continuando a parlare, mi sbatte la mano sulla coscia sinistra, a lui opposta, sul davanti dei miei bermuda, proprio in corrispondenza di una tasca chiusa con un bottone.
E poi di nuovo.
Dopo un po’, con mio sollievo, mostra di dover incamminarsi per una laterale e mi saluta, dandomi vaghe indicazioni su una festa di danze prevista per il sabato successivo.
Proseguendo verso il ristorante, mi accorgo dopo un po’ che la tasca dove tengo il portafoglio è vuota.
Cercando di dominare l’ansia faccio ritorno verso l’auto, sperando di averlo smarrito all’interno o nelle vicinanze.
Ma quando l’esito della ricognizione non dà alcun frutto, mi appare in tutta la sua evidenza il fatto di essere stato derubato con molta destrezza.

Senza un soldo al ristorante non si va, ma quel che è peggio è che mi ritrovo senza il controllo sulle mie carte di debito, la patente, la carta d’identità italiana, la tessera sanitaria e la copia (sulle prime credevo l’originale, che poi, almeno quello, ritroverò nei giorni successivi nascosto in casa) del documento di certificazione degli stranieri (popolarmente il “NIE verde”).
Un brutto pasticcio, scarsamente mitigato dalla speranza che almeno i documenti vengano presto ritrovati.
E immediatamente, arrivato a casa, faccio bloccare la carta di debito della banca italiana (Fineco) e di quella spagnola (Bankinter).
Scoprirò poi che nel frattempo Fineco ha di sua iniziativa impedito degli addebiti sospetti in valuta romena, mentre uno di importo trascurabile è andato a buon fine tramite la carta spagnola.

Non ci voleva proprio questa nuova batosta…; aspetterò qualche giorno poi comincerò a darmi da fare presso il vice-consolato per richiedere i duplicati, sopportando per amore o per forza la grave temporanea menomazione.

Ma la giornata, cominciata tanto luminosamente, doveva finire in modo ancor più drammatico.
Verso sera, in rigoroso collegamento via cavo, vado a effettuare una delle mie frequenti verifiche sull’integrità del portafoglio di cripto.
L’estensione del browser si apre normalmente, ma, una volta digitata la password, ogni volta che ci riprovo una freccetta al centro si mette a girare in tondo senza fine.
E l’angoscia sale, anch’essa apparentemente senza fine…

Lancio l’allarme attraverso i canali telegram di Andrea e del supporto; da quest’ultimo ricevo la risposta automatica che i messaggi verranno evasi l’indomani in orario d’ufficio, mentre la chiamata ad Andrea, avvenuta quando in Italia è già abbondantemente l’ora di cena, non viene ascoltata.

Affronto la notte cercando di contrastare l’angoscia con l’abbandono alla mia fede in un destino personale predeterminato e comunque positivo, tema che approfondirò nel capitolo finale di questa storia a puntate.
Riesco per brevi tratti ad appisolarmi e, faticosamente, a far venire mattino.
Poco dopo le nove italiane, che qui sono le otto, mi arriva un messaggio di risposta del supporto: “Ieri sera abbiamo apportato delle modifiche che richiedono la riallocazione del portafoglio”.
E dirlo prima no? Comunque il sollievo è grande, tanto più quando, effettuata la manovra, i totali delle mie cripto ricompaiono sani e salvi.

La speranza che vengano ritrovati i miei documenti, alimentata inizialmente anche da voci amiche, invece va spegnendosi con il passare dei giorni e così pianifico le duplicazioni. Inutile insistere al telefono con il vice-consolato italiano che ha sede nel sud dell’isola: anche negli scarsi orari previsti non rispondono mai.
Nel loro sito, invece, la procedura di richiesta della nuova “carta d’identità elettronica”, è esposta con chiarezza. Nel giro di un paio di giorni riesco a inviare la lettera raccomandata e in tempi sorprendenti ricevo via mail la risposta che la domanda, formalmente corretta, è stata accettata e l’istruttoria avviata. Mi richiameranno per un’impronta digitale prima di rispedire la pratica in Italia per la stampa fisica e linvio postale della nuova card.
(Ma ad oggi, inizio giugno, nulla si è mosso).

Per una felice coincidenza, di lì a pochi giorni ho appuntamento (che avevo ottenuto al telefono automaticamente dopo giorni e giorni di tentativi…) con la Dirección General de Tráfico (l’equivalente della Motorizzazione civile), dove avevo già intenzione di chiedere il cambio della patente italiana, in scadenza a fine anno, con quella spagnola.
La mattina in cui, con grande anticipo, giungo nella loro sede della capitale Santa Cruz, sono un po’ in ansia: la paura è che, in mancanza del documento sottrattomi, mi costringano ad invischiarmi in infinite pratiche burocratiche in Italia.
Sperimento una volta di più gli standard di grande gentilezza degli uffici pubblici canari, nella fattispecie con una signora che mi vieta categoricamente di rivolgermi in Italia e mi indica con chiarezza i passi da fare: una volta in possesso del mio documento d’identità, dovrò eseguire l’esame medico d’idoneità e poi tornare (senza difficoltà in tal caso per l’appuntamento) per la pratica di cambio e rinnovo.

Altro sospiro di sollievo. Si tratterà solo di guidare l’automobile il meno possibile, con la mia denuncia alla polizia in (assai teorica) sostituzione della patente, di qui ad allora.

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8 Responses to Allenamenti intensivi – 2

  1. Valerio Dalla ha detto:

    Hai sempre avuto una capacità narrativa formidabile e lo confermi con questo racconto a puntate.

    Certo non riesco a godere appieno della lettura perché mi dispiace quello che racconti! Ma sotto c’è sempre una grande pacatezza e un bellissimo humour.

    E mi piace leggere della tua fede in un destino personale predeterminato e comunque positivo! Te lo auguro proprio!

    • Franz ha detto:

      Grazie per i complimenti, Valerio!
      Temo che l’insistenza nel raccontare episodi sgradevoli abbia reso un po’ meno avvincenti i due capitoli seguenti, prima di quello finale di tutt’altro genere; se avrai la pazienza di continuare la lettura mi saprai dire.

      Per la cronaca, solo tre giorni fa, finalmente, il vice-consolato mi ha inviato il consolante invito a richiedere l’appuntamento per le impronte digitali, a cui farà seguito l’attesa di ricevere per posta la nuova carta d’identità stampata in Italia.

      • Valerio Dalla ha detto:

        Sono felice di sapere che pian piano stai risolvendo tutto! Bello come scrivi l’ultima notizia: l’invito a richiedere l’appuntamento, a cui farà seguito l’attesa di ricevere per posta… 😀 La lentezza italiana è davvero senza pari!

  2. andrealand50 ha detto:

    Caro Francesco, seguo con ansia e partecipazione questo tuo nuovo racconto a puntate di vita vissuta che sembra narrativa. Non vedo l’ora di leggere il seguito.

    • Franz ha detto:

      Carissimo Andrea, questo tuo solo commento compensa decisamente l’impegno che mi è costato l’intero racconto, impegno peraltro affrontato soltanto e con tutta la passione del caso.
      Grazie e… ai prossimi capitoli!

  3. Mariangela Tranfo ha detto:

    Me encantó leerte, gracias por compartir.

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