Allenamenti intensivi – 4

Durante tutta la nuova settimana, la situazione sembra finalmente stabilizzata, i criteri di sicurezza stabili e sufficienti.
Trascurando il disagio di ritrovarmi senza documenti in tasca e il massacro vissuto a livello psicologico da una così fitta serie di stress nel sentirmi, a più riprese, indifeso dal nemico asiatico, in fondo, mi dico, a fronte dei suoi ripetuti e sofisticati attacchi, che cosa ci ha guadagnato? Dopo avermi sottratto, ormai quattro mesi fa, una quantità non proprio indifferente di criptomonete, poi praticamente più niente: solo quel beffardo prodotto di Protonmail da cinquanta euro, comprato tramite il mio conto PayPal.
La tempestività e l’esasperata attenzione che ho impiegato nelle azioni difensive mi hanno risparmiato, in definitiva, altri guai seri.

In queste condizioni di fiducia che va lentamente ricostruendosi, il sabato sera successivo mi vede al computer, ad aggiornarmi, tramite i canali abituali, sulle (quanto mai…) turbolente vicende del mondo.
Improvvisamente, un accesso negato, sia alla mia nuova casella di posta che alla mia banca Fineco, mi fanno precipitare di nuovo nell’angoscia, senza lasciarmi riflettere che in entrambi i casi non sia possibile alcuna operatività senza una contestuale verifica telefonica.
Così, preso a tradimento, le due o tre ore seguenti si riveleranno probabilmente le peggiori in assoluto di tutti questi terribili quattro mesi, tanto che mi è difficile anche solo ricostruirne il non lontano ricordo.
Credo di aver immediatamente riaperto la mia casella di posta, questa volta efficacemente tramite la “seed phrase” (sequenza di dodici brevi parole inglesi) di cui sono in possesso; poi di aver ricontrollato con successo il portafoglio delle cripto.
Di sicuro, intorno alle dieci locali, ho preso in mano il telefono e ho composto il numero dei servizi remoti della banca.

Mi aggroviglio almeno diverse volte nei percorsi selettivi, con le dita che quasi tremano nel digitare i tasti delle opzioni; altrettante volte ripeto la chiamata e, quando non ci speravo più, sento il segnale di libero e di lì a pochissimo una voce umana.
“Sia benedetto!” esclamo all’operatore, attivo, in Italia, alle undici del sabato sera, prima di spiegargli con voce concitata la situazione.
“Procedo subito con il blocco degli accessi e della sua carta.”
Gli chiedo di verificare quest’ultima, circa l’eventuale presenza di movimenti anomali. Nessuno. Non avergli chiesto di controllare anche i movimenti nel conto corrente (soprattutto di bonifici), mi costerà un residuo di ansia fino a una nuova chiamata l’indomani mattina.
L’operatore mi invia in posta elettronica, seduta stante, un modulo per la richiesta di nuovi criteri d’accesso, che mi dovranno poi pervenire via posta cartacea.

Come dicevo, anche se non ne ricordo più i dettagli, passo un paio d’ore sulla graticola; mi sembra che il mio nemico, nell’attuale notte fonda dell’Indonesia, stia giocando come al gatto col topo, cambiandomi le password man mano che le aggiorno. Mi viene quasi da pensare che, forse nel vedersi chiuse tutte le strade più redditizie, ora voglia solo farmi del male.
Ma non avere idea di quale vulnerabilità sia riuscito a sfondare questa volta, mi fa sentire in sua balìa come mai prima.
Finché non ho l’intuizione, che, confermata da molti dettagli, mi tornerà a dare un po’ di tranquillità.
Evidentemente c’è di mezzo Mozilla (e il browser collegato di Firefox, il mio abituale da sempre): ogni volta che modifico una password, senza che io me ne accorga, sembrerebbe che gliela renda visibile nell’account che riuscì a violarmi quella sera, e dunque tutte quelle che ho cambiato recentemente, per aumentare la sicurezza, non sono altro che esche fornitegli.

Da quel momento opero solo tramite Google Chrome e poi, anche se mi restano grossi punti interrogativi sul funzionamento di Mozilla, che ha una pagina principale terribilmente scarna, tramite Chrome vi ho aperto comunque un nuovo conto, che ho collegato a Firefox, eliminando di fatto i legami precedenti.

Da quel momento a oggi, ve lo giuro, non ho avuto più alcuna traccia di operatività del mio persecutore. E penso sinceramente che si sia rivolto ormai a nuove prede più redditizie.

Comunque, ripensando a eventuali residui di vulnerabilità, ho poi rivolto l’attenzione a quella possibile nel wi-fi casalingo, da cui tutto era cominciato.
Mi sono reso conto di come sia completamente inutile modificare la password di rete, se qualcuno è in possesso del codice del router stampato nell’etichetta sul retro dello stesso: accedendo al sito del fornitore con quel codice, la password viene bellamente mostrata.
In un primo tempo mi sono ripromesso di chiamare un tecnico per farmi modificare anche quel codice, prima di scoprire che anche tale intervento è possibile semplicemente dal sito.
Ora godo di un’accoppiata password del router e di rete a prova di bomba, almeno spero.

Ogni giorno ho controllato invano la cassetta della posta nella speranza di ricevere la missiva di Fineco, finché ho tornato a chiamare; mi hanno detto di aspettare ancora qualche giorno quando, a fronte del perdurare della mancata ricezione, mi avrebbero inviato i codici di sblocco via telefono.
Tre giorni fa, finalmente, la sorpresa: nell’aprire la posta, due diverse buste intestate della banca italiana, alla cui pagina personale, tramite un’ulteriore odissea di codici di sicurezza incrociati (dal nome fuorviante, ma ve ne risparmio il racconto), son riuscito alla fine, quando cominciavo a disperare, a recuperare l’accesso, sia dal computer che dal telefono.

Sul fronte dei documenti personali, poi, seguendo un consiglio intelligente, qualche giorno fa ho inviato al vice-consolato la richiesta per il passaporto, che forse impiegherà meno tempo di quella per la carta d’identità elettronica, tuttora in attesa di un qualsiasi nuovo riscontro.

Come promesso, dedicherò il prossimo e ultimo capitolo a considerazioni di tutt’altro livello circa l’esperienza vissuta e che ho fin qui raccontata nei suoi risvolti principali, pur omettendo molti dettagli che ne avrebbero reso la lettura assolutamente indigesta.

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Allenamenti intensivi – 3

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La mattina di lunedì 6 maggio, uno dei miei frequenti controlli al portafoglio delle cripto mi dà un esito foriero di nuova inquietudine: la password non risponde.
Mi affretto a rigenerare il portafoglio con la frase segreta, ad attribuire una nuova password e a controllare il contenuto: grazie al cielo questa volta nulla è mutato.
Sono tentato, benché molto controvoglia, di dare subito l’allarme agli amici di Metatron, per chiedere se ritengono il caso di spostare ancora una volta il patrimonio su un nuovo portafoglio.
Ma poi, durante la giornata, a fronte di ripetuti controlli positivi con la nuova password, mi metto il cuore in pace. E me la racconto: magari è stato un malfunzionamento del browser, il programma di accesso a Internet.

Il centro della città dista una ventina di minuti di buon passo in discesa; l’indomani sul far della sera, col necessario anticipo rispetto all’inizio della partita, raggiungo un bar dotato di un bello schermo televisivo, per assistere alla semifinale di Champions League Inter-Barcellona, che si preannuncia molto spettacolare, e prendo posto a un tavolino. Poco più avanti, un tizio anziano piuttosto sgangherato continua a esibire vistosamente, pur parlando spagnolo stretto, il suo tifo per l’Inter; il resto del pubblico, benché senza troppo entusiasmo, sembrerà parteggiare invece per i catalani.
Lo spettacolo, in effetti, è straordinario, con tanto di colpo di scena finale quando l’Inter, che sembrava sconfitta, segna nei minuti di recupero il goal del 3-3 che le dà accesso ai tempi supplementari.

Durante il secondo tempo supplementare, però, la mia attenzione è improvvisamente sviata dalla partita al piccolo schermo del telefono.
A raffica, compaiono messaggi di posta contenenti un codice di verifica per l’accesso al conto Mozilla, un ambiente che mi è completamente ignoto. Quello però che non mi aspetto, di gran lunga peggio, è un messaggio di diverso contenuto: “Le sue credenziali di accesso a Mozilla sono state modificate”. Che significa che qualcuno a quei codici riservati è riuscito ad accedere.
Di lì a poco non riesco più ad aprire la mia casella di posta, da molti anni la mia principale: la password è stata violata e modificata.
Seguo le istruzioni per il ripristino, tramite un’altra casella, quella mia antichissima su tin.it (che risultava dichiarata come metodo di recupero), nonostante l’avvertimento che, così facendo e senza possedere l’opportuna chiave di decrittazione, tutto il contenuto risulterà illeggibile: a mali estremi estremi rimedi.
In effetti, recupero così la mia mail e in effetti i contenuti sono indecifrabili. Ma dopo pochi secondi vengo sconnesso, e non mi riuscirà più neanche quel tipo di accesso.

Per fortuna la partita finisce e, pagato il conto del mio gelato, posso correre in salita verso casa, col fiato in gola.
Il computer mi riserva un’ulteriore amarissima sorpresa: anche la mail ad uso esclusivo del mio archivio di password risulta inaccessibile.
Ce l’ha fatta di nuovo, il criminale, a impossessarsi delle mie chiavi d’accesso, vecchie e nuove, nonostante tutte le mie precauzioni.
Mi piombo subito sull’altro computer, per verificare le cripto. Grazie al cielo l’accesso al portafoglio Metatron, e il contenuto, non mostrano segni di violazione. Ma è urgente, ora sì, aprirne un altro e riversarvi tutto.

La situazione è comunque drammatica: oltre ad avermi privato della mia posta elettronica, dove ricevo messaggi non solo dai conoscenti, ma anche da mittenti pubblici e istituzionali, il nemico è ora in devastante possesso di accoppiate esclusive d’accesso: indirizzo mail e password.
Riesco per prima cosa a modificare quella delle due banche.
E poi, fino alle sei del mattino, cercherò ansiosamente di proteggere allo stesso modo tutti i siti di particolare rilievo.

Le azioni di salvaguardia vanno avanti anche durante la giornata successiva e si rende necessario, inoltre, avvertire tutti i miei contatti di WhatsApp circa il mio nuovo indirizzo di posta principale, che intanto ho aperto.
Così pure il vice consolato, da cui attendo la chiamata per sbloccare la nuova carta d’identità.
Mi tocca ripetere obbligatoriamente in posta elettronica certificata quest’ultimo messaggio; grazie al cielo riesco nella non semplice operazione, combinata col telefono.
A mente assai provata ma un po’ più calma, il bilancio dei danni sembra in parte ridimensionato.
Non ho intenzione di avvertire Metatron; in fondo, il portafoglio potenzialmente attaccabile è ormai vuoto, a meno degli investimenti in “staking” sicuramente inaccessibili a lungo, finché non maturerà il tempo della riscossione.
Anche se non riesco a capire quale fosse questa volta la mia vulnerabilità, non mi sembrerebbe comunque ai loro occhi, e nuovamente, una gran bella figura…

La sera, nel continuare l’opera di salvaguardia degli accessi, una nuova doccia fredda. La password di “Gold Avenue”, il sito di Ginevra dove ho in consegna oro e argento fisici, a differenza della notte precedente, risulta violata. Accidenti a me non averla cambiata; in realtà, a posteriori, mi renderò conto che la notte prima ero stato tranquillizzato dal doppio criterio di controllo (anche via telefono), ma lì per lì mi assale l’angoscia: il tizio, mi viene da pensare, può aver già smobilitato i miei beni preziosi tramite richiesta di un bonifico.
Con l’aiuto del traduttore automatico, scrivo immediatamente in francese un messaggio d’allarme e nello stesso tempo preparo, sempre in francese, le frasi per esprimermi al telefono con il servizio di assistenza, quando aprirà alle nove, che qui sono le otto.
Dopo un’altra sofferta notte di assai scarso riposo, alla chiamata risponde subito, non so se casualmente o volutamente, un gentile operatore italiano di nome Mirko.
E mi tranquillizza: tutto sotto controllo; ora blocco immediatamente il conto, mi dice, poi ci risentiamo fra una ventina di giorni per riaprirlo con nuove credenziali.

E passa un’altra giornata di verifiche e sistemazioni. La sera, quando credo di meritarmi finalmente un po’ di riposo dopo due notti d’angoscia, un’altra doccia fredda.
“Qualcuno” ha utilizzato il mio conto PayPal, che evidentemente mi era sfuggito dalle manovre di protezione, per una spesa di cinquanta euro, ricorrenti in futuro (e curiosamente proprio a favore dei gestori, anch’essi svizzeri, della mia posta elettronica) e ha cambiato la password anche a quel sito. Il varco lasciato aperto sarebbe una fonte di emorragia dal mio conto corrente bancario collegato, non fosse per un’ulteriore provvidenziale via d’accesso prevista, tramite numero di telefono. Riesco così a isolarlo da ulteriori possibili, devastanti attacchi: mi è andata di lusso.

Durante la giornata successiva, pur senza crederci troppo, tento la carta di scrivere a Protonmail, appunto i gestori della mia casella postale violata.
La risposta, che mi arriverà il lunedì seguente, sarà incoraggiante, per non dire straordinaria: la signora Aleksandra mi conferma che hanno notato movimenti sospetti, a fronte dei quali hanno bloccato l’indirizzo (ed è già una gran notizia!) e sono disposti a ridarmi l’accesso, se supererò alcune verifiche sulla mia identità.
Inoltre conferma, come alla fine ero giunto a capire anch’io, come sia potuto riuscire il nuovo attacco, cioè proprio attraverso quella stessa mail di recupero, quella di tin.it, di cui il maledetto aveva conservato l’accesso, visto che era uno dei pochi siti che, a causa della propria vetustà, rende il cambio di password una procedura obbligatoriamente assistita, insicura e lunga diversi giorni. Questa volta vi avevo rinunciato, limitandomi a chiedere, ai pochi corrispondenti lì presenti che mi stanno a cuore, di cambiare il mio recapito.
L’ingenuità di lasciare quel varco aperto, e inoltre di utilizzare proprio la stessa casella precedente per il salvataggio dell’archivio di password e, quanto meno, di non criptare quest’ultimo con il semplice programma disponibile su Windows, mi fanno sentire vergognosamente colpevole verso me stesso. Ma si sa, a posteriori tutto è più facile.

Alla fine, poi, decido di avvertire Andrea Bertocchi dell’accaduto; mi sembra doveroso segnalare, se non altro a fini burocratici, l’indirizzo del nuovo portafoglio.
Oltre a consigliarmi caldamente di non salvare mai dati sensibili in rete, con la sua consueta premura si offre di proteggere a vari livelli i miei “staking”, contro sia pure improbabili nuovi attacchi futuri nelle fasi di riscossione.

Intanto Madame Aleksandra di Protonmail continua, con molto garbo, un giorno sì un giorno no da quel lunedì, a farmi il processo, per verificare la mia precedente proprietà della casella violata, come se il nome e cognome presenti nel relativo indirizzo, e altri dati che avevo fornito io stesso di mia iniziativa, non fossero sufficienti. Rispondo con docilità e massima attitudine collaborativa. L’impressione è che stiano prendendo tempo, nella speranza di incastrare l’hacker in qualche mossa rivelatrice.
Il venerdì mi chiede gli estremi di quel movimento di addebito su PayPal; glieli fornisco, con tanto di importo, data, codice transazione. Questa, immagino, è la prova del fuoco; mi aspetto che lunedì mi invii le sospiratissime istruzioni per riattivare la mail.
E invece, e per tutta quella settimana, improvvisamente i suoi contatti vengono meno.
Tanto che il venerdì le scrivo da un altro mio indirizzo, su Gmail, manifestandole il sospetto che il nemico abbia intercettato anche la nostra conversazione.
Non è così, per fortuna: il lunedì successivo, adducendo all’accumulo di lavoro il suo precedente silenzio, finalmente mi dà le sospirate indicazioni per la mail.

Non sono semplici da seguire, ma alla fine ritrovo la mia vecchia casella, a dir la verità un bel po’ irriconoscibile.

Le parti di sistema sono in una lingua oscura; provo a chiederne la traduzione automatica, “chissà mai” dall’indonesiano, guarda caso con successo!
E i contenuti sono criptati, ma riesco quanto meno a decrittarne, grazie alle indicazioni ricevute, tutta la parte successiva al boicottaggio, avvenuto durante quei tempi supplementari di quella spettacolare semifinale di Champions League.

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Allenamenti intensivi – 2

Ho una cara amica di vecchia data afflitta da una malattia rara, che a periodi alterni la debilita e le impedisce una vita attiva nonché la sua libera attività professionale.
Per fortuna ha sempre cercato cure non convenzionali: a detta sua, e non stento a crederlo, altrimenti non sarebbe più al mondo, mentre, grazie a felici incontri dovuti alla sua inguaribile curiosità, ha trovato, ora più che mai, specialisti e protocolli di cura molto probabilmente decisivi.
Anche lei si è avvicinata al mondo di Metatron, cosa che ci permette frequenti chiacchierate di aggiornamento sulle loro continue novità.
Verso la metà dello scorso aprile mi lasciò un messaggio in segreteria.
Con voce disperatamente desolata mi diceva che, in seguito a un trasferimento di portafoglio richiesto dai nostri amici, non riusciva più a vedere il contenuto di un sottoconto di cripto. E che il servizio di supporto fino a quel momento non era riuscito a sbloccarla, richiedendo sempre, a tal fine, la chiave privata numerica di tale sub-account, quando a entrambi risultava che la “seed phrase” di dodici parole costituisse una chiave d’accesso necessaria e sufficiente per rigenerare l’intero portafoglio.

Ero rimasto sveglio a ragionarci sopra, fino ad avere un’intuizione, dettata anche dalla mia più recente esperienza pratica.
E gliel’avevo indicata, a mia volta in un messaggio.
La mattina ci sentimmo; lei continuava ad essere pessimista, ma la convinsi a provare il tipo di accesso che le consigliavo con precisione.
Dopo un quarto d’ora mi richiama con voce grata e trionfante: le sue cripto, in quel modo, erano magicamente ricomparse.

Cominciava benone così la mia giornata, che prevedeva poi l’appuntamento, a una mezz’ora di auto, con una delle officine abilitate per la revisione obbligatoria biennale.

Questa avvenne con assai decisa e pignola attenzione verso tutti i dettagli, e comunque con esito felice.
La doppia soddisfazione, unita a uno di quei giorni in cui il sole di questa latitudine splende in maniera debordante, meritava di essere festeggiata andando alla scoperta, sulla via del ritorno, di un ristorante della mia città di cui avevo letto ottime recensioni, situato di fronte all’Orto Botanico.
Nel lungo rettilineo che si diparte da quest’ultimo, di solito non è difficile trovare parcheggio, ma quel giorno di metà aprile dovetti proseguire oltre un paio di rotonde, per un totale di circa un chilometro.
La passeggiata di riavvicinamento al ristorante, in quelle condizioni di luce esteriore e interiore, iniziò in modo assolutamente festoso, fino a incontrare, fermo sul mio stesso marciapiede, un tizio che mi sorride e mi saluta come un vecchio amico.
In questi casi, conoscendomi scarso fisionomista, sono propenso a ricambiare con finto calore.
Il tizio mi si affianca mentre riprendo il cammino; parlando spagnolo con sicurezza mi chiede la mia nazionalità. Lui è greco, dice. E scambiamo qualche frase di prammatica sulla triste situazione in cui hanno fatto sprofondare l’economia e il tenore di vita di quel popolo.
Poi d’improvviso cambia discorso, mi chiede se conosco le danze sudamericane. Mi dice che per ballare la salsa bisogna lavorare con questo muscolo, e, continuando a parlare, mi sbatte la mano sulla coscia sinistra, a lui opposta, sul davanti dei miei bermuda, proprio in corrispondenza di una tasca chiusa con un bottone.
E poi di nuovo.
Dopo un po’, con mio sollievo, mostra di dover incamminarsi per una laterale e mi saluta, dandomi vaghe indicazioni su una festa di danze prevista per il sabato successivo.
Proseguendo verso il ristorante, mi accorgo dopo un po’ che la tasca dove tengo il portafoglio è vuota.
Cercando di dominare l’ansia faccio ritorno verso l’auto, sperando di averlo smarrito all’interno o nelle vicinanze.
Ma quando l’esito della ricognizione non dà alcun frutto, mi appare in tutta la sua evidenza il fatto di essere stato derubato con molta destrezza.

Senza un soldo al ristorante non si va, ma quel che è peggio è che mi ritrovo senza il controllo sulle mie carte di debito, la patente, la carta d’identità italiana, la tessera sanitaria e la copia (sulle prime credevo l’originale, che poi, almeno quello, ritroverò nei giorni successivi nascosto in casa) del documento di certificazione degli stranieri (popolarmente il “NIE verde”).
Un brutto pasticcio, scarsamente mitigato dalla speranza che almeno i documenti vengano presto ritrovati.
E immediatamente, arrivato a casa, faccio bloccare la carta di debito della banca italiana (Fineco) e di quella spagnola (Bankinter).
Scoprirò poi che nel frattempo Fineco ha di sua iniziativa impedito degli addebiti sospetti in valuta romena, mentre uno di importo trascurabile è andato a buon fine tramite la carta spagnola.

Non ci voleva proprio questa nuova batosta…; aspetterò qualche giorno poi comincerò a darmi da fare presso il vice-consolato per richiedere i duplicati, sopportando per amore o per forza la grave temporanea menomazione.

Ma la giornata, cominciata tanto luminosamente, doveva finire in modo ancor più drammatico.
Verso sera, in rigoroso collegamento via cavo, vado a effettuare una delle mie frequenti verifiche sull’integrità del portafoglio di cripto.
L’estensione del browser si apre normalmente, ma, una volta digitata la password, ogni volta che ci riprovo una freccetta al centro si mette a girare in tondo senza fine.
E l’angoscia sale, anch’essa apparentemente senza fine…

Lancio l’allarme attraverso i canali telegram di Andrea e del supporto; da quest’ultimo ricevo la risposta automatica che i messaggi verranno evasi l’indomani in orario d’ufficio, mentre la chiamata ad Andrea, avvenuta quando in Italia è già abbondantemente l’ora di cena, non viene ascoltata.

Affronto la notte cercando di contrastare l’angoscia con l’abbandono alla mia fede in un destino personale predeterminato e comunque positivo, tema che approfondirò nel capitolo finale di questa storia a puntate.
Riesco per brevi tratti ad appisolarmi e, faticosamente, a far venire mattino.
Poco dopo le nove italiane, che qui sono le otto, mi arriva un messaggio di risposta del supporto: “Ieri sera abbiamo apportato delle modifiche che richiedono la riallocazione del portafoglio”.
E dirlo prima no? Comunque il sollievo è grande, tanto più quando, effettuata la manovra, i totali delle mie cripto ricompaiono sani e salvi.

La speranza che vengano ritrovati i miei documenti, alimentata inizialmente anche da voci amiche, invece va spegnendosi con il passare dei giorni e così pianifico le duplicazioni. Inutile insistere al telefono con il vice-consolato italiano che ha sede nel sud dell’isola: anche negli scarsi orari previsti non rispondono mai.
Nel loro sito, invece, la procedura di richiesta della nuova “carta d’identità elettronica”, è esposta con chiarezza. Nel giro di un paio di giorni riesco a inviare la lettera raccomandata e in tempi sorprendenti ricevo via mail la risposta che la domanda, formalmente corretta, è stata accettata e l’istruttoria avviata. Mi richiameranno per un’impronta digitale prima di rispedire la pratica in Italia per la stampa fisica e linvio postale della nuova card.
(Ma ad oggi, inizio giugno, nulla si è mosso).

Per una felice coincidenza, di lì a pochi giorni ho appuntamento (che avevo ottenuto al telefono automaticamente dopo giorni e giorni di tentativi…) con la Dirección General de Tráfico (l’equivalente della Motorizzazione civile), dove avevo già intenzione di chiedere il cambio della patente italiana, in scadenza a fine anno, con quella spagnola.
La mattina in cui, con grande anticipo, giungo nella loro sede della capitale Santa Cruz, sono un po’ in ansia: la paura è che, in mancanza del documento sottrattomi, mi costringano ad invischiarmi in infinite pratiche burocratiche in Italia.
Sperimento una volta di più gli standard di grande gentilezza degli uffici pubblici canari, nella fattispecie con una signora che mi vieta categoricamente di rivolgermi in Italia e mi indica con chiarezza i passi da fare: una volta in possesso del mio documento d’identità, dovrò eseguire l’esame medico d’idoneità e poi tornare (senza difficoltà in tal caso per l’appuntamento) per la pratica di cambio e rinnovo.

Altro sospiro di sollievo. Si tratterà solo di guidare l’automobile il meno possibile, con la mia denuncia alla polizia in (assai teorica) sostituzione della patente, di qui ad allora.

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