La domenica sportiva

podestiedit

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Venivo dal centro fin qui in automobile per fare i miei periodici allenamenti di corsa podistica: è un posto che amo, il Parco della Resistenza, e passandoci vicino con il taxi qualche sera fa ho avuto nostalgia, di quell’immensa area di prato un po’ declinante dal perimetro asimettrico, dove si espandeva la luce del sole, dove restavo incantato dalla miriade di margheritine in fiore, dove assaggiavo meglio che dentro un ufficio di un’altra città, o fra i portici della mia, l’avvicendarsi delle stagioni.
Da quando ho cambiato casa e la campagna è a portata di gambe non ci vado più, ma non è la nostalgia ad avermici riportato ora, quanto la relativa vicinanza da casa dell’odierna corsa domenicale qui organizzata, che mi ha evitato una sveglia troppo mattutina e l’idea di non dover fare troppa strada con l’auto di scorta, pur sempre gravata da un costo chilometrico.

Con tutti questi fiotti di gente alla partenza, e i tavolini dell’organizzazione, e le tende dei gruppi podistici, e il movimento intorno al grande bar ristorante con la sala da ballo e il bocciodromo, non è il caso di riassaporare le atmosfere della memoria.
“Partenza libera dalle otto e trenta alle nove per la non competitiva”, ripete lo speaker al megafono con una sgraziata inflessione dialettale su una voce leggermente concitata.
Appoggio su una panca di cemento, vicino ad alcuni borsoni di atleti della competitiva, la mia maglietta di ricambio: è quella gialla del Caterraduno, con la vignetta di Altan, e devo vincere un po’ di apprensione nel lasciarla incustodita.
Sono le otto e venti, e, come tanti hanno già fatto, mi incammino e poi, dopo aver fatto scattare il cronometro, comincio a correre, adagio, come mia abitudine per affrontare la fatica più gradualmente.

Un solicello un po’ timido splende sul percorso che si arrampica, tramite una lunga strada asfaltata dalla lieve e continua pendenza, sulle prime colline, Villaggio Martino, la Croara, Ponticella: le frazioni di San Lazzaro, proprio come qualche chilometro più in basso è la mia Borgatella.
Supero i gruppetti degli abituali camminatori; hanno età media e peso medio decisamente più alti dei podisti non competitivi, a loro volta mediamente meno atletici e meno giovani dei competitivi, che oggi partiranno più tardi. Anche l’abbigliamento rivela rigorosamente l’appartenenza alle tre grandi famiglie: abiti da passeggio genericamente sportivi i primi, t-shirt noi secondi, canottiera con il grande pettorale numerato i terzi.

Chiacchierano, parlano, discutono, è un continuo; provo un certo fastidio, mi sento stranamente misantropo, non so perché; forse, superati i camminatori, andrà meglio.
Intanto apprezzo la salita tanto graduale e docile, un chilometro dopo l’altro, da non farsi quasi sentire sul fiato e sulle gambe.
Mezz’ora buona così, il panorama sulla pianura che si allarga sempre più, poi un po’ di saliscendi, mentre il conto alla rovescia dei cartelli chilometrici sembra voglia incoraggiarti: otto, sette, all’arrivo.
Parlano anche correndo, solitamente a coppie: vicende territoriali (tanti vengono dai paesi della provincia), vicende di conoscenti comuni, beghe e affari propri. Di solito traggo allegria da questa popolazione sportiva, tonica, allegra; oggi no, non è cosa.

Come sempre, man mano che il percorso si snoda, anche il serpentone, la saltellante processione, si allunga, si frastaglia, si attenua, con l’effetto di dare ancora più risalto alle chiacchiere di chi ti capita vicino per un po’ di strada.
Questo qui lo sopporto meno di tutti: in un tratto di salita un signore anzianotto rimbecca a voce alta la sua compagna, con cui cammina, avendo dovuto evidentemente interrompere il passo di corsa:
“Oggi non devi stare bene, non vedi che ci passano tutti ? Oggi non era da venire a correre”, e via recriminando, fino all’uscita più clamorosa: “Sai cosa dicono, che quando sei in crisi devi aumentare il passo, così la distanza da percorrere si abbrevia”.
Deficiente, è la parola più dolce che mi verrebbe da rivolgergli; vorrei che lei lo invitasse a farsi la sua corsa da solo e a smettere di volerla umiliare con il suo egoismo.

Più avanti sono due gemelli sulla quarantina a catturare la mia attenzione: il loro modo di procedere affiancati ad uguale andatura è impressionante e li fa sembrare due cloni, anche se la loro fisionomia non è del tutto precisa. Hanno la maglia e le scarpette identiche, mentre i pantaloncini sono diversi.
Strano mondo, quello dei gemelli, portati da ragioni sia genetiche che di uguale formazione ad una condivisione del vivere, del sentire, a livelli probabilmente inimmaginabili. Mi chiedo se nella vita abbiano una marcia in più o una pericolosa dipendenza reciproca.

La discesa, in alcuni tratti, è decisa; la strada è quasi sempre asfaltata, ma c’è anche un breve tratto su un sentiero molto sconnesso tra vegetazione bassa. Corro veloce, spingendo fortemente in maniera alternata gli avambracci, a mani spalancate e con movimenti ampi, giù lungo il tronco per alleggerire e controllare meglio le gambe: è una tecnica che mi dà sempre una certa soddisfazione, sembra quasi di spiccare il volo, con il peso del corpo annullato.
Di questo passo arriveremo in un attimo: quattro, tre, all’arrivo.

E invece no. Proprio sul finire un paio di interminabili chilometri di inattesa e dura salita.
Con il fiato corto, il cuore in gola e i muscoli affaticati, mi incoraggio pensando che sia il migliore allenamento fisico possibile.
Mi tocca stringere i denti, mentre il viso si contrae in una smorfia di sofferenza; ma non voglio mollare, mentre supero adagio molti che hanno scelto di desistere e camminano di buon passo.

L’ultimo chilometro è in leggera discesa: si sente già in lontananza la voce metallica dello speaker, ecco le prime auto parcheggiate, ecco i primi che camminano in senso contrario con il sacchetto del premio già in mano.
Blocco il cronometro nel momento in cui passo sotto il bananone gonfiabile ad arco di trionfo colorato dell’arrivo: un’ora ventisette minuti cinquanta secondi.

Mi dirigo verso la panca della mia maglietta, che intravvedo con sollievo da lontano: la indosso, dopo essermi asciugato con quella che avevo, neanche eccessivamente bagnata.
Non c’è troppa ressa al ristoro: the freddo (o qualcosa di assimilabile) in quantità, e qualche gradita fetta di pane e marmellata, e di pane e nutella.
Senza troppi indugi, col mio sacchetto premio in mano, mi incammino verso la Multipla, parcheggiata lungo il percorso della corsa competitiva, che sta terminando proprio ora.
Mi sfrecciano in direzione opposta veloci e potenti atleti; i primi sembrano meno affaticati di quelli che seguono, tutti impegnati a dare il massimo nel tratto finale in leggera discesa; uno emette un vero e prorpio rantolo di autoincitamento.
Confuse fra gli uomini arrivano anche le prime donne; sono giovanissime; la loro grazia femminile mi colpisce a fondo e i miei occhi restano incollati sui loro corpi snelli, anche per via di un abbigliamento quasi sempre succinto, aderente, appena essenziale, che le lascia seminude.

Nella mia fantasia resta un sapore di frutto proibito, mentre accendo il motore e, appena il passaggio degli atleti si dirada decisamente, mi immetto nella strada ed inverto la direzione.

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p.s.: Il movimento podistico di Bologna e provincia è animato già da molti anni da una nutrita serie di società promotrici, sportive o ricreative, coordinate da un comitato che ha il principale compito di redigere un calendario annuale delle manifestazioni; grazie a questo non c’è domenica che non offra almeno una possibilità di partecipare ad una corsa organizzata. Tutto è gestito su base volontaria.
Mi sembra giusto spendere due parole di gratitudine verso tutti quelli che si danno da fare per tenere vivo il movimento.
La corsa di cui parlo nel post era organizzata (perfettamente) dal Gruppo Podistico AVIS San Lazzaro.

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Immagine “rubata” a:
http://www.podisti.it/foto/062008/displayimage.php?album=288&pos=51

Informazioni su Franz

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10 risposte a La domenica sportiva

  1. Valentina ha detto:

    Che sia la gara che ho corso anch’io?…
    😉

    Grazie per essere passato sul mio blog.

    • Franz ha detto:

      Penso proprio di sì, anche se tu fai parte della ‘famiglia’ a me inaccessibile degli atleti competitivi.
      Anzi, delle atlete competitive (con tutto ciò che ne consegue……) 😉

      Grazie a te per la visita e il commento.
      Ciao !

  2. silvanascricci ha detto:

    Anch’io invidio un pochino i podisti.
    A me non riesce di correre neppure dietro l’autobus.
    Io cammino, cammino, cammino, cammino ma non corro mai

    • Franz ha detto:

      Mai dire mai, cara Silvana.
      Comunque, se sai camminare molto a lungo, e soprattutto se sai perdere gli autobus magari con un sorriso, sei già in una posizione decisamente privilegiata.

  3. missgynn ha detto:

    Grande Franz!!!!! Bacioni.

  4. duhangst ha detto:

    Ho sempre ammirato la forza di volontà dei podisti, io non riuscirei a fare quello che fanno loro.

    • Franz ha detto:

      Non so se fra “i podisti” e relativa “forza di volontà” includi anche me; penso di sì e ti ringrazio.
      Quello che posso dire è che lo ritengo uno sport che dà molto di più dei sacrifici che chiede, in termini di salute, benessere e gioia di vivere.

  5. alanford50 ha detto:

    Ciao Franz, ho finito di leggere di questa tua giornata legata alla corsa, alla grande fatica fisica, noto un tuo sano atteggiamento, ossia non ti sei commemorato, non hai parlato della fatica fisica a cui ti sei per’altro volontariamente sottoposto in nome di una attività ludica appagante, questo ti fa onore, questo fa capire che hai vissuto la giornata nel modo più giusto, ma il tuo racconto mi lascia una strana sensazione, volendo leggere il senso di questa tua giornata fuori dal comune, ossia come nello sforzo di variare la nostra abitudine del quotidiano finiamo in fondo per fare e dire sempre le medesime cose di sempre, come se anche in questa occasione molto particolare in fondo l’essere umano non può che ripetere se stesso, ossia, anche nell’occasione della grande fatica l’uomo finisce per essere sempre e ripetitivamente se stesso senza essere capace veramente di staccare e di cercare in qualche modo di differenziare tramite quel l’esperienza il proprio quotidiano.

    E’ una sensazione difficile da tradurre in parole, nel tuo raccontare il tragitto hai incontrato e ti sei scontrato con l’umano solito, con le solite abitudini con il solito carattere, chi è positivo dimostra il suo positivo, chi è negativo come quello che strattonava la propria consorte perché non stava al passo dimostra il suo negativo, cose che sicuramente i personaggi tramite il loro carattere ripropongono in ogni manifestazione del loro essere incapaci in alcuni momenti di differenziarsi veramente, incapaci di concedere a se stessi e di conseguenza agli altri una parte diversa di loro, possibilmente migliore del solito, la sensazione che mi è rimasta addosso del tuo racconto è il racconto di una giornata sicuramente diversa vissuta da quasi tutti in un modo assolutamente uguale alle altre, un’occasione perduta di uscire dalla propria banalità, vivere certe situazioni come se fossero veramente diverse dal normale vivere.

    Non so se sono riuscito a farmi comprendere, anche perché ripeto è tutto a livello di una sottile sensazione a cui è difficile dare veramente una parola che la renda veramente capace di esprimersi, tenendo anche conto che trattandosi di una sensazione, potrebbe benissimo essere assolutamente sbagliata.

    A me è piaciuto molto la tua lettura di quella giornata, e la semplicità con cui l’hai affrontata, non solo grazie al tuo raccontarti hai dimostrato un interesse ed una predisposizione a leggere quello che ti correva incontro, la curiosità di comprendere e di assimilare come per fare bagaglio ed esperienza della tua giornata così ben spesa e vissuta, complimenti, forse nel mio leggere il tuo racconto si evidenzia il prevalere del poco amore che ho verso la gente in genere e della banalità che ne sorregge loro il vivere.

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    • Franz ha detto:

      Ciao Alan, credo in realtà che tu abbia compreso ciò che ha connotato la mia personale esperienza raccontata. Avrei potuto magnificare le meraviglie di questo modo di affrontare la domenica mattina, o glorificare la mia piccola impresa, ma ho cercato come sempre di privilegiare la sincerità, e così non ho evitato di sottolineare, per differenza rispetto alle abitudini e alle aspettative, quanto di storto e sgradevole sul piano umano (e genericamente della mia percezione) ho vissuto. Forse è in fondo proprio la mancanza di quello che tu chiami “vivere certe situazioni come se fossero veramente diverse dal normale vivere”.
      Il rischio, così facendo, è di sminuire il valore e l’importanza di questo tipo di esperienze, che in cuor mio do per assodato; è anche per questo che ho voluto aggiungere in fondo al post, poco fa, due righe di ringraziamento verso i volontari che organizzano queste manifestazioni.

      Salutoneh.

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