Sole, vento e fango

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Sotto il cielo nero di una città solcata da folate di vento freddo, ragazze e donne di svariate fasce d’età, a piccoli gruppi, stanno vivendo nei vari locali la serata dedicata a loro, con tutta l’allegria e la complicità di cui sono capaci e che mi procurano sempre un certo incanto.
Molte di loro si muovono in taxi; sarebbe un lunedì di lavoro proficuo e piacevole, se non cadesse in un mio turno di riposo.
Se tutte le disgrazie sono queste, dice il saggio, che il Signore ce ne mandi tante; e una giornata di stacco dal lavoro giunge comunque gradita, in questo mio periodo in cui ho l’impressione di stare smaltendo le dodici fatiche di Ercole, tanta è la propensione a dolci, prolungate, profonde iniezioni di riposo.

Era già passata l’una del pomeriggio, quando il lungo conflitto fra il benessere del rimanere beatamente sotto le coperte e il richiamo alle attività di una nuova giornata si è concluso, come sempre, con una stentata vittoria di quest’ultimo.
Apro le persiane su un cielo luminoso, ma filtrato in qua e in là da strati nuvolosi mossi dal vento.
Le prime due ore della mia giornata se ne vanno occupate, oltre che dalla leggerissima colazione che faccio ogni volta che ho intenzione di andare a correre, da una serie di attività al computer: la consueta panoramica su posta, facebook, blog mio e degli amici, ma anche salvataggi in remoto (da quando ho scoperto le possibilità di Gmail.com).

Sono dunque le tre quando esco con il consueto abbigliamento invernale da corsa; solo il berretto è quello estivo, di cotone traforato, ma a scanso di equivoci ho in tasca la cuffia di lana nera, che per un certo tratto iniziale risulterà necessaria.
Luce. Tanta, sgarbata, fendente: il sole e quelle nuvole stratiformi biancastre che fanno da specchio.
Raffiche di vento gelido. Il costante grigiore di un lunghissimo inverno ha ceduto ad un marzo finalmente luminoso, ma tutt’altro che primaverile, gioioso e gradevole.

La sensazione di freddo se ne va pian piano, mentre percorro, correndo ma senza forzare l’andatura, il mio solito itinerario verso le zone campestri più armoniose nei pressi dei laghetti di Castenaso e dei campi da golf.
Il ricordo se ne va ad anni molto lontani, quando, invece di studiare per dare gli esami all’università, mi recavo a piedi quasi tutti i giorni all’amato parco dei Giardini Margherita, mosso da un’inderogabile esigenza di dare spazio alla mia vera interiorità fin allora soffocata, con l’imperiosa voglia di fare un po’ di chiarezza tramite l’introspezione. Mi mettevo sulle mie panchine preferite, come un pensionato, a scrivere lunghi brani di diario, o ‘straordinarie’ poesie.
Come si può immaginare, vivevo molto accoratamente gli sbalzi climatici, che potevano agevolare od ostacolare in grande misura quella mia attività all’aria aperta, affrontata con tutto l’intransigente assolutismo dei vent’anni.
Terminò, quella fase: due, tre, quattro anni, chi si ricorda più; poi, avendo rinunciato agli studi per il lavoro, cominciò quella dell’ufficio e delle trasferte, una ‘breve’ parentesi di quasi altri venticinque anni, da cui infine uscii a riveder le stelle, e il sole di marzo, che aveva avuto la pazienza di aspettare il mio ritorno, benché ormai diventato incapace di scrivere poesie, e quasi anche, con grafia sufficientemente calma e ordinata, qualsiasi altra cosa con una penna su un foglio di carta.

Imboccata la stradina che si addentra fra i campi verso i laghetti, scorgo davanti a me la piccola signora anziana, quella che mi ispirò la favola delle palline da golf colorate; cammina ad andatura decisa, vestita, anzi tutta bardata, a tinte scure ma ricercate.
Dopo averla superata di qualche metro mi giro e le sorrido:
“Buongiorno, ha visto che freddo ?”
“C’è un vento che porta via !” e fa il gesto di coprirsi ancora di più il collo cinto da una sciarpa.
“E poi domani le previsioni dicono che nevica !”
“No, qui da noi?”
“Sì, domani forse, e mercoledì quasi di certo”.
“Oh Signore”, fa visibilmente contrariata.
“Ma vedrà che poi arriva, la primavera; è sempre arrivata…”
“Eh, sì”, e ci scambiamo un sorriso a distanza, prima di salutarci.

Ho deciso che sulla via del ritorno percorrerò una variante, inoltrandomi nella boscaglia che fiancheggia il fiume, e che dovrebbe ripararmi dal ventaccio, che comunque tende un po’ a calare.
Per un breve tratto riesco ad assaporare anche un po’ di tepore del sole sul viso; è davvero piacevole, anche se aumenta il desiderio inappagato di una primavera, che certo arriverà, ma dicono ancora molto lontana.

Doppiato il punto più distante, che è un tratto di una strada asfaltata e mediamente trafficata, imbocco la variante che mi ero prefissato.
Le acque limacciose del fiume scorrono alla mia destra con un certo impeto; poi la boscaglia mi impedisce di osservarle.
Un ostacolo imprevisto rallenta ora la mia andatura: una quantità di fango che sembra aumentare man mano che mi inoltro per il sentiero. Pozzanghere, fanghiglia alternata a chiazze di erba moribonda, strati di melma che catturano le scarpe e vorrebbero inglobarle, riuscendo comunque ad appiccicarsi come indesiderata zavorra.
Poi sempre peggio: vere e proprie piscine torbide, che mi costringono a deviare, e a cercare camminando dei varchi fra i roveti secchi e spinosi. Il fango mi aveva fatto slittare in più di un’occasione, ma a farmi toccare terra con le mani sono i rametti secchi di quelle siepi, che un paio di volte riescono a farmi lo sgambetto.
Il sentiero poi diventa irriconoscibile, anche perchè invaso da rami accatastati da evidenti lavori di parziale ripulitura del bosco.
E, neanche a dirlo, mi perdo.
Unico riferimento, la collina, lontana, sulla sinistra. Per il resto cerco i tragitti meno accidentati, finché, uscito dalla boscaglia, finisco lungo i bordi di alcuni campi arati.
Fiancheggiandone uno, raggiungo una villa che mi sembra di riconoscere, ma dal lato posteriore; è tutta recintata, e davanti all’unico varco possibile campeggia un cartello “Attenti al cane”; di lì a un attimo alla scritta si aggiunge il sonoro.
C’è una porta con un campanello, lungo il recinto; vinco la timidezza e suono, ma nessuno si fa vivo, mentre i due cani continuano a darmi il malvenuto.

Dietro-front; per fortuna non mi ci vorrà molto a trovare il bandolo della matassa per uscire da quel senso di clandestinità su una proprietà privata; nella fattispecie, una stradina che mi riporta sulla rete viaria pubblica.
Non distinguo però nessuna delle solite strade: sono finito lontanissimo, e ancora mi chiedo come ho potuto trovarmi nel paese di Villanova senza attraversare il fiume.
Ora riconosco le strade: sono quelle che percorro non a piedi ma in auto, passando dal centro commerciale, con la Cavallona, ma so che, per quanto lunghe, mi riporteranno a casa.
Cerco di mantenere l’andatura da mezza maratona, leggera ma efficiente, mentre il sole tende ad addolcire le tinte nella tipica luminosità del tardo pomeriggio; tutto sommato mi ritrovo stanco ma non sfinito all’arrivo, dopo un’ora e cinquanta di allenamento, e soli quattro o cinque chilometri più del previsto.

Il computer è acceso e ha finito di trasmettere dati in rete. Oltre al bagno e allo shampoo, mi aspetta lo sgradito compito di lavare le scarpe piene di fango.
Ma in ufficio, comunque, si stava peggio.
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Immagine da: http://forum.panorama.it/f37/raccontaci-il-tuo-ultimo-contatto-ravvicinato-con-la-natura-t3770/

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18 risposte a Sole, vento e fango

  1. Riri52 ha detto:

    Leggendo le tue righe ho fatto mentalmente un giretto lungo il fiume, lasciato senza cura. Peccato. Eè bello com racconti del tuo smarrirti doetro casa. E’ vero, a volte basta poco per non ricoscere i luoghi. Ciao Riri52, fan della bic.

    • Franz ha detto:

      Tutto sommato credo che quell’aspetto un po’ selvaggio del cosiddetto ‘parco fluviale’ non sia affatto da disprezzare, quando non renda proibitivo addentrarvisi.
      Poi, la mia capacità di perdere l’orientamento è sempre stata straordinaria (compreso alla guida del taxi… 😦 )

      Splendido, ecologico, silenzioso e intramontabile mezzo, la bici; mi affianco correndo all’amica cicloturista per un sorriso e un caro saluto.

  2. iolosoxchecero ha detto:

    io studiavo a Roma da fuorisede (con tutte le difficoltà del caso: convivenza forzata, imparare a vivere da soli e a gestire i soldi, studiare senza il fiato sul collo dei genitori…) e in primavera mi piaceva andare a ripetere all’aperto, in una delle ville romane, in primis, la più vicina, Villa Torlonia. Che bello potersi sedere sull’erba all’ombra di un albero e vedere altri ragazzi fare altrettanto, scrivere, leggere, ripetere a voce alta…Io non credo che tu non sappia più scrivere poesie, dovresti ricominciare, anzi! P.S. ma che brutto perdersi nel bosco! P.P.S. SOLO 4-5 km in più del previsto? SOLO??? 😉

    • Franz ha detto:

      Visto che, dopo gli studi, Roma ti ha poi catturato in maniera stabile, penso che ti sarà facile e che ti piacerà tornare, in punta di piedi, a rivederti assorta su un libro all’ombra di un albero, in un paesaggio (anche umano) davvero idilliaco, come lo descrivi.
      Per quanto riguarda il mio ‘estro poetico’, ogni due o tre secoli ci riprovo per qualche minuto, poi decido che non è il momento; comunque, mai dire mai…

      P.S.: a dire il vero è un’offesa ai boschi veri chiamare così quella piccola e un po’ striminzita area selvaggia, lungo il fiume Idice, che sopravvive fra zone coltivate e urbanizzate; dunque perdersi non è poi così drammatico.

      P.P.S. di solito sono dodici-tredici. Vuppruvà??? 😉

  3. Sara ha detto:

    Sole, vento…tutte cose che fanno invecchiare la pelle! Il fango no, fa bene.
    Ciao Franz. Sara

    • Franz ha detto:

      Ok, Sara, la prossima volta mi ci rotolerò… 🙂
      (Comunque mi sembra che dimentichi quanto un’attività sportiva aerobica mantenga giovane l’intero organismo!)

      Salutones.

    • Sara ha detto:

      Attività sportiva all’aria aperta? il giardinaggio va bene?! è che poi mi viene un appetito da lupi!

    • Franz ha detto:

      Il giardinaggio ? Non è esattamente una disciplina olimpica, ma credo che vada meravigliosamente.
      E l’appetito da lupi è un ottimo segno; l’importante è poi non andare a divorare le incolpevoli pecorelle…

  4. Rear Window ha detto:

    Mi piace questo racconto di un’ordinaria giornata all’insegna di una riappropriazione di ritmi personali vs quelli imposti da una situazione impiegatizia. Si corre, si suda, si fatica, ci si può anche perdere, ma “in ufficio si stava peggio” perchè forse non si era così padroni di se stessi…

    Un saluto. Paolo.

    • Franz ha detto:

      Ho piacere di averti trasmesso, con il mio racconto, il senso non solo “di un’ordinaria giornata”, ma dell’intero cammino della mia vita fin qui, in cui il valore dell’emancipazione è stato ed è tuttora obiettivo e stella polare.

      Un saluto a te.

  5. Silvana ha detto:

    Io devo avere una maturità adolescenziale, sì perchè a vent’anni o giù di lì non ho mai scritto un rigo, un diario, una poesia; solo i temi, i discorsi alle assemblee ed i volantini del movimento femminista.
    Adesso che gli anta sono suonati da un pezzo scrivo tantissimo, soprattutto sul blog; evidentemente ho degli arretrati decennali che premono per uscire.
    Sono secoli che non esco con le amiche l’8 marzo perchè mi da la sensazione dell’ora d’aria concessa ai carcerati.

    P.S. (ma mica tanto ps) ti ho già detto quanto mi piacciono i tuoi racconti, caro Franz?

    • Franz ha detto:

      Diversamente ventenne, dunque, sia allora che tuttora ?
      Comunque ben vengano gli “arretrati decennali”: spero che la tua sorgente continui a zampillare con l’attuale costante intensità.
      Quanto all’8 marzo, pur condividendo il grande fastidio per gli elementi falsi che si sono sovrapposti ai significati originari, penso che non li abbia perduti del tutto, e che comunque lasci ancora spazio a chi di voi, con l’intelligenza e la semplicità necessarie, abbia ancora voglia di darne un’interpretazione positiva; mi sembra insomma una festa di un livello comunque diverso rispetto a quella degli innamorati, o della mamma, del papà e via discorrendo. Ovviamente questo mio non vuole essere un giudizio negativo sulla tua posizione più intransigente.

      Infine un grazie, cara Silvana, per i complimenti, che mi danno sempre un forte sostegno.

  6. Misssss ha detto:

    “In ufficio si stava peggio” Ormai lo penso anche io, anche se nelle serre fa freddo, sono senza stipendio e senza contributi. Grazie per la mimosa. Abbiamo finito tutte le primule, almeno così facciamo posto per le nuove piantine da invasare che arriveranno a giorni. Pensa che io non ho mai festeggiato alla sera con le amiche la festa della donna, chissà perchè. Ciao e fai il bravo

    • Franz ha detto:

      Mi fa davvero piacere, cara Miss, che il tuo forzato cambiamento di attività ora ti risulti complessivamente gradito (mi spiace solo che hai meno tempo da dedicare ad internet…).
      Non posso e non voglio sindacare sulle tue mancate uscite femminili dell’8 marzo; l’unica cosa che posso testimoniare è quello che ho scritto nel post circa l’atmosfera cittadina, cioé un certo senso complessivo di allegria, al di là di ogni altra considerazione.

      Ciao ciao, un saluto molto bravo.

  7. giraffa ha detto:

    Una brutta sensazione smarrirsi, però mi piace il modo in cui la racconti. Anch’io scrivevo tanto (e chi aveva dubbi??!!) a vent’anni e non ho mai smesso di usare carta e penna, a certi piaceri non si può rinunciare 😉

    • Franz ha detto:

      Ti invidio, per aver conservato il gusto di scrivere con strumenti tradizionali; come ho appena risposto ad Alanford, per me da molti anni è diventato un vero e proprio castigo quello che a quei tempi era un piacere.
      Un grazie anche a te e un caro saluto.

  8. alanford50 ha detto:

    Complimenti per come hai saputo raccontare, quasi in forma poetica il tuo smarrirsi nel vento.

    Mi ha colpito il particolare che hai raccontato che è successo anche a me a suo tempo, ossia, la fatica che si è provata dopo molti lustri di terminali e tastiere, nel riprendere a scrivere manualmente con la biro sulla carta, quasi come se la mano ne avesse perso il gesto ed il senso.

    Ciaooo neh!wordpress stats plugin

    • Franz ha detto:

      Credevo fosse una sindrome solo mia; penso che dipenda dalla grande velocità acquisita alla tastiera, molto più adatta ad esprimere con immediatezza il flusso dei pensieri; dopo, la penna, come la mano che la utilizza, diventano quasi uno strumento di tortura, che costringe i pensieri ad allinearsi in coda come in posta.

      Un salutone e un grazie, carissimo Alan, per i complimenti e per la grande assiduità e tempestività !

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