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Mentre ‘Robbberto’ cominciava il suo lungo monologo, Radio1, Radio2, RTL, e probabilmente anche altre emittenti, hanno rispettosamente fatto tacere ogni tipo di radiocronaca, seria o ironica che fosse, per lasciare totalmente il campo al nostro grandissimo affabulatore. Quasi a reti unificate, come suol dirsi: l’evento mediatico lo richiedeva.
Il primo passeggero con cui ne ho condiviso l’ascolto è stata una giovane donna di colore, per un breve tragitto in centro.
Ho già alzato il volume, per apprezzare tutte le sfumature espressive del toscanaccio, e non trattengo qualche accenno di risata al suo iniziale crescendo di battute; sono solo un po’ a disagio nell’ipotesi che la ragazza straniera abbia qualche difficoltà linguistica di comprensione.
Ma poi sento che ride anche lei, e ad un certo punto esclama: “Grande!”
Dopo, mi piazzo ancora una volta nel posteggio Due Torri, quello davanti al Roxy Bar, che come sempre è snobbato dai colleghi, per ascoltare indisturbato e godermi in santa pace, insieme ad altri venti milioni di Italiani incollati ai teleschermi, il fluire magico delle battute.
Rispondo picche ad una prima chiamata del radio-taxi: questi momenti sono solo per me.
Ma il senso del dovere e l’automatismo prevalgono dopo ben poco tempo, alla successiva richiesta: Circolo Bononia, via Castiglione, 1, a poche decine di metri di distanza. Appoggio il dito su “OK”, ed indico ‘due minuti’.
Una mia amica pediatra, abituata a frequentare per lavoro anche gli ambienti più aristocratici della città, mi spiegò che quello è il posto dove si ritrova l’alta borghesia, più o meno gravitante sul Lions Club, mentre la più selezionata nobiltà cittadina frequenta, poco distante sulla stessa strada, il ‘Circolo della Caccia’, legato al Rotary Club.
Sono due coppie fra i cinquanta e i sessanta, a salire a bordo poco dopo il mio arrivo. Al mio fianco si siede un omaccione distinto.
Che dopo un po’ mi chiede: “Che cos’è, Sanremo?”
“Sì,” dico con enfasi, aumentando nuovamente un po’ il volume: “è Benigni, in diretta!”
Lui reagisce con educato interesse, ma è da dietro che giunge, di lì a poco, la reazione stridente: una delle due donne snob rivela, con un tono di voce appena sufficiente ad essere inteso da tutti i compagni di viaggio: “Se fosse per me, potrebbe anche sparire.”
Faccio finta di niente, e non abbasso il volume.
Anzi, sento in corpo una reazione quasi di piacere. Il diavolo si sta manifestando: è così che lo si affronta, dato che la condivisione di gusti, di cultura, di fedi ed ideali, sarà certo più gradevole ma non cambia il mondo di una virgola.
E poi avverto nel mio vicino, un po’ inconfessata, una certa dose di autentico interesse verso quel fiume in piena di parole e citazioni.
Termina presto anche questa corsa, per fortuna; mi avvio verso il posteggio di piazza Malpighi, con la speranza di essere lasciato in pace fino alla fine dell’avvincente monologo.
Benigni sta introducendo la sua esegesi dell’Inno di Mameli; anche se dovrò ricredermi presto, confesso che sulle prime la sua intenzione mi sembra evidentemente in chiave ancora scherzosa: ricordo infatti la citazione di alcuni passi dell’inno, di quelle strofe successive che nessuno conosce, fatta da un altro comico, Natalino Balasso, con esiti umoristici irresistibili.
Sono ormai in vista dello spazioso posteggio Malpighi, quando un signore si sbraccia per fermarmi.
Abbasso il finestrino: mi domanda se conosco un locale chiamato ‘Movida’, che dovrebbe essere situato in via Filzi.
“No, mi dispiace, quel nome proprio non mi dice niente” e alludo al nome del locale: non voglio confessargli che anche il nome della via mi dice poco, cosa che farò solo in seguito, dopo averne verificato l’inesistenza sul libretto-stradario.
L’uomo, anche lui fra i cinquanta e i sessanta, è educato, ma insiste un po’; fatica evidentemente a mollare l’osso.
Finché mi commuovo, e mi imbarco in una di quelle imprese complicate, che proprio è l’ultima cosa che avrei gradito ora:
“Venga su, che facciamo un salto in Piazza Maggiore, e chiedo ai colleghi.”
Il tizio entra e si accomoda davanti.
Benigni continua a raccontare con passione contagiosa le gesta dei nostri santi fondatori nazionali: “Tutta l’Europa, tutto il mondo,” dice, “guardava allora all’Italia con un’ammirazione immensa…”
Sono cinque o sei, i taxi ormeggiati in piazza, in attesa; scendo e vado a chiedere ad un collega, puntando direttamente su uno di cui mi fido.
“E’ meglio che chiedi a qualcuno che fa sempre la notte, io i locali non li conosco molto.”
Subito lì davanti lo vedo, e cerco di evitarlo: è un tipo autarchico, sprezzante delle regole, anche quelle di correttezza e di rispetto. Ma è lui ad interrompere la conversazione, in piedi accanto alle vetture bianche spente, con un altro che non conosco:
“Che cosa cerchi?” mi fa.
“Conosci un locale che si chiama la Movida?”
Ci pensa un attimo: “Sì, credo che sia quello vicino alla questura, sotto il portico sulla destra di Piazza Galileo.”
Anche l’altro concorda.
“Okay, grazie molte.”
“Senti,” mi fa, mentre cerco di divincolarmi: “me lo vendi quel berretto di lana?”
“No, ciao.”
“E quella giacca a vento viola, me la vendi?”
“No, no, ciao.”
“Ti do due euro, se mi dai il cappello.”
Non gli rispondo, e torno rapidamente a raggiungere la Cavalla, e il nostro ospite.
Quando scopriamo che presso la questura non c’è alcun locale, lui mi chiede, come peraltro aveva già fatto prima, se posso sentire la centrale.
“Ci provo, a volte fanno fatica a rispondere.”
E invece mi rispondono subito.
Qualche secondo di ricerca, poi: “No, mi dispiace, qui non ci risulta nessun locale con quel nome.”
“Va bene, grazie lo stesso,” poi, rivolgendomi all’ospite: “Niente, cosa facciamo?”
Sembra rassegnato, e mi chiede di portarlo in stazione.
“Pronto,” mi richiamano subito: “scusa, devo rettificare: l’ho trovato, è in via San Felice, 6.”
Insoliti argomenti, dalle casse dell’autoradio: Mazzini, Garibaldi e Cavour, e Mameli e Novaro, e giovani patrioti senza nome, uniti in un’unica famiglia, un unico encomio, che farà storcere il naso agli storici ma scalda i cuori, e fa riflettere su quel qualcosa di comune di cui ancora non ci hanno spogliati.
Dopo cinque minuti di strada veloce, siamo a destinazione. Ricordo bene, a quell’indirizzo, un bar frequentato esclusivamente da omosessuali; non so se dopo il cambio di gestione sia cambiata anche la clientela. Fatto sta che stasera è chiuso, neanche una luce e un’insegna riconoscibile.
“Andiamo in stazione?”
“Va bene. Se no, lo conosce un posto che si chiama Bart, vicino a via Marconi?”
“Sì, in fondo a via Polese” e taccio sulla sua connotazione gay, che ormai mi sembra dichiaratamente ricercata dal mio nottambulo passeggero.
Mi avvio ancora una volta, proprio mentre Benigni sta sfidando sè stesso, e probabilmente le sue stesse vere convinzioni, per convincere l’Italia intera della bellezza del suo proprio inno, cioé di quella secca marcetta da circo, priva di solennità e rivestita di parole retoriche.
E alla fine, con un pathos tangibile, lo intona, lo canta come lo avrebbe cantato un giovane patriota alla vigilia del martirio.
Il mio passeggero si lascia trascinare, e accompagna piano, con la sua voce, quel canto di ‘Robberto’, inedito, dolente e lirico, dell’inno di Mameli.
“Siam pro… on ti al-la mor…te…”
“L’Italia…”
“Chiamò…”
Qualche attimo di commosso silenzio, poi il lunghissimo applauso del teatro Ariston.
Siamo in fondo alla stretta via Polese; fine corsa. Concordiamo un compenso per il lungo giro, effettuato fin dall’inizio a tassametro spento; mi accontento di molto poco.
Il tipo esce e si avvia nella notte silenziosa, verso la vicina vetrina, illuminata con discrezione, del locale gay.
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Immagine da: http://www.undercoverprinces.co.uk/page/2
E pensare che io ho seguito Benigni seduta in cucina con mio marito!
Sara
Almeno per un po’ ti avrà distratta dai tuoi tristi digiuni alimentari…
Comunque nella cosiddetta norma, di ipotetiche statistiche, sei stata certamente tu con tuo marito e non io con la Cavallona e i nostri occasionali ospiti.
Ciao Franz, ho approfittato del fatto che i miei due neuroni ancora vivi stanno litigando, per passare a lasciarti il mio classico saluto.
Ciaooo neh! alla prox.
Proprio come i canarini, i tuoi Neur-one e Neur-two, sempre a litigare…
Ottima occasione, comunque, per il tuo salutoneh, che ricambio!
Non ho ancora trovato il tempo, in questi giorni che mi vedono molto sotto pressione, di ascoltare e vedere “Robbberto” su YT.
Ho visto solo uno spezzone del suo lungo intervento al Teatro Ariston, su Blob, proprio quello in cui in maniera direi desolata, o disperata, anche se sommessa, canta il nostro inno. Che è così brutto, forse fra i più brutti degli inni delle nazioni, eppure, sentirlo cantare in quel modo, senza enfasi, tocca il cuore e penso proprio che ci rappresenti, così, come siamo. Un Paese desolante e desolato, smarrito e anche, in un certo senso disperato, privato di speranza, insomma.
Non sempre Benigni mi piace, a volte mi sono sentita, vedendolo, ascoltandolo, quasi fastidiosamente travolta dalla sua esuberanza. Ma guarderò, non appena ne troverò il tempo, la sua performance sanremese, stimolata anche da quanto tu scrivi. E mi è piaciuto tanto leggere di qell’esclamazione: “Bravo!” della tua giovane passeggera (afro-italiana? Mi piace, afro-italiana). Fa da contrappunto a quel brutto figuro del tuo collega, che deve essere un taxi- draiveraccio. Vorrei sapere la sua “sigla”, così, quando dalla centrale, mentre sono alla ricerca di un taxi, mi dicono: è in arrivo il taxi n… e io lo riconosco, invece di spegnere il telefono in segno di accettazione rimango in linea, per cercarne un altro.
Che il post è scritto bene te lo hanno già detto. Io non te lo ri-ri-ri dico, allora.
Buona serata, Franz-driver! A te e alla paziente Cavallona.
“Un Paese desolante e desolato, smarrito e anche, in un certo senso disperato, privato di speranza, insomma.”
Penso che la tua definizione colga molto bene nel segno. Ma siamo anche un Paese molto volubile, e un bel po’ voltagabbana: a giudicare dai sondaggi, il centro-sinistra (PD, SEL, IDV) ad oggi vincerebbe le elezioni, e l’Italia comincerebbe d’incanto ad autodefinirsi un Paese progressista, dimenticando alcuni ‘piccoli dettagli’ degli ultimi diciotto anni…
Il taxi-driveraccio in questione è un tipo davvero insopportabile; in privato ti comunicherò volentieri la sua sigla. Ad onor del vero, però, la sua indicazione sbagliata non credo fosse dolosa, ma solo colposa, di superficialità.
Salutone, cara Milvia, alla prossima!
Anche un provinciale come il sottoscritto é entrato almeno una volta in quel “Roxy Bar”, ma non si é accorto del parking “Due Torri”, ahimé!
Non si tratta di un parking, ma di un posteggio; con questo termine, di precisa codifica stradale ma soprattutto di antica tradizione del mestiere, si intende qualsiasi area di sosta per i taxi, contrassegnata da un cartello con la scritta nera “TAXI” su fondo arancione, e dalle linee segnaletiche gialle sulla strada.
Non mi meraviglio che ti sia sfuggito il piccolo posteggio “Due torri”, che è purtroppo molto più frequentato (irregolarmente) da veicoli privati che da auto bianche.
Grazie per aver ricordato la sera di Roberto Benigni! E’ stata una pausa, dal festival, molto energetica e vitalizzante. E’ incredibile come un uomo da solo riesca a trascinare tanta gente; è meravoglioso direi! E su un argomento così ostico, complice la scuola che ne ha fatto un osso duro e noiosissimo! Bello il tuo racconto, con questi squarci di Bologna notturna, che io non vedrò mai.
Proprio così, Riri (o Piume, come preferisci), “una pausa molto energetica e vitalizzante”.
E concorderai che le persone ancora pensanti ne hanno, di questi tempi, un enorme bisogno.
Ho piacere di portarti con me, tramite il racconto, nella Bologna by night; e se proprio escludi di poterla contemplare di persona, potrai rifarti facilmente con la più quieta Castenaso by night…
Ciao!
Innanzitutto sei uno scrittore fantastico.
Complimenti davvero per come hai saputo raccontare i fatti…..
Straordinario l’intervento di Benigni con l’omaggio ai 150 anni dell’Unità d’Italia e la strepitosa e commovente interpretazione dell’inno nazionale………
Ti ringrazio del gradito passaggio da me e ti auguro una buona serata,
Luciana
Grazie a te, Luciana, per il commento e per quell’entusiastico complimento, fonte di soddisfazione e soprattutto di carica.
Benigni è davvero straordinario, e credo sia impossibile negare le sua capacità comunicative.
Sui contenuti del monologo, questa volta gli apprezzamenti non sono stati proprio unanimi e incondizionati; anch’io ho qualche piccola riserva, ma credo che nel complesso sia stato un intervento prezioso ed utile alla nostra ‘povera patria’, per dirla alla Battiato.
Una buona giornata a te!
Come va’ Franz !?
Corri , fuggi e vai fra i tracciati che , ormai, ben conosco.
Leggendoti ho trovato delle strane analogie fra te che cavalchi la Cavallona bianca e ”Robberto” che è entrato nel teatro su di un cavallo bianco.
Altra cosa strana è che Benigni ha guadagnato e poi devoluto il suo compenso per l’ospedale pediatrico mentre Tu hai patteggiato per la breve corsa di un cliente ,per la voglia di offrire un servizio, l’impegno.
Le cifre non sono paragonabili !
Ma è il gesto morale quello che conta.
Analogie ,continuo…
I pugni chiusi di Gianni Morandi ,le sue grandi mani ed il suo sorriso stretto con i denti serrati a dire ”Stiamo uniti !
Stiamo uniti in Italia . ( U.S.I. ).
Ricordano i pugni chiusi di Tradelli dopo il favoloso gol .
Analogie…
Questa volta non ne ho trovato, anzi divergenze sul ”soggetto”.
”La vittoria” , ”l’Italia” e ”Roma”.
”E’ la vittoria che è schiava di Roma”, guai se non fosse così.
Ciao Franz
Ciao a tutti.
T.
Mi fa un particolare piacere sapere riconosciute, da chi legge, le vie e gli angoli che cito.
E d’altra parte non sono passate molte sere dal nostro ultimo incontro proprio in Piazza Malpighi…
Dovrei fare un bel po’ di galoppate, per raggiungere i compensi di Benigni, il quale ha fatto benissimo a smorzare con il suo gesto la montante polemica sull’entità del suo compenso.
Quanto a vittorie e schiavitù, vorrei poter far sparire le seconde e limitare le prime ai soli ambiti sportivi…
Un saluto, e sempre U.S.I. !!!
Ciao poeta.
Nel farti una tantum (ma la cosa vale anche per i post passati e, sulla fiducia, per i futuri) i complimenti per la tua scrittura che richiama a tratti Hemingway e per la tua inesausta capacità di raccontare te e la tua città (io ogni tanto ci provo con la Parma del terzo millennio ma dopo un po’ mi vengono dei dolorosi sintomi gastro-intestinali e lascio lì), devo dire che il tuo post è un piccolo saggio sociologico e descrive benissimo come il monologo di Benigni si sia inserito in una notte cittadina alterandone ed abbellendone i connotati altrimenti banali e risaputi.
L’ora in cui il post è stato redatto, poi, ti avvicina a Charles Bukowski e Fernando Pessoa che, come sicuramente Ella saprà, di giorno si dedicavano a lavori impiegatizi e scrivevano a notte fonda. Su loro due tu hai il vantaggio che il tuo lavoro lungi dall’essere un doloroso ripiego per campare (datosi che carmina non dant panem e pecunia nunquam olet) è una incessante fonte di ispirazione.
Poi, più nello specifico, è vero che l’inno di Mameli è una marcetta un po’ imbarazzante; ma enorme è il suo valore per le circostanze in cui è stato scritto e per l’immane sforzo (fare l’Italia, già di per sè difficile, e poi fare gli Italiani, e qui siamo nel campo dell’acrobazia) di cui in qualche modo è stato ed è tuttora il simbolo.
E’ importante, comunque, che un’aliquota consistente dei suddetti italiani (stavolta con la i minuscola) possa e debba criticare e fin sbertucciare Benigni, perché il consenso generale è un fenomeno di regime, e Benigni non mi sembra un personaggio di regime, di nessun genere.
Buon inizio di settimana.
Ricevo spesso generosi complimenti, ma, quanto a citazioni, se ben ricordo nessuno si era spinto oltre ad un paio di accostamenti a Loriano Macchiavelli. Puoi ben capire il salto di qualità…
Fra l’altro ho letto proprio l’anno scorso i racconti di Bukowski, molto autobiografici, e si può proprio dire che il lavoro impiegatizio, per i brevi periodi in cui resisteva, fosse davvero per lui un doloroso ripiego.
Quanto al consenso generale, credo che siamo stati in questi anni uno dei principali laboratori della relativa manipolazione mediatica, con risultati evidenti ma, penso e spero col cuore, non incontrovertibili.
Grazie delle tue parole e buona settimana a te.