Post ascetico, ambientalista e antipatico

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Resisto alla tentazione di restare sui toni del diario intimistico, in questa nuova luminosa e ventosa domenica di luglio, per tornare invece su un paio di temi che mi porranno, per una volta, nell’antipatico ruolo di censore e fustigatore, nei confronti di costumi diffusissimi e piuttosto sacralizzati.

Siamo già, per i pochi che ne hanno la fortuna, nel periodo delle vacanze; i più si concederanno tale premio quando l’estate sarà ormai nel suo stadio terminale, i rondoni avranno già preso la via del ritorno, le foglie saranno ingiallite, le giornate molto più corte, i temporali più frequenti, e tanta tanta gente compirà lo stesso rito nello stesso identico breve periodo, riproducendo quel confortante effetto-gregge, quel rassicurante brusio di fondo, nelle più normali località canoniche (ai massimi dei loro listini prezzi), nonchè lungo gli inferni d’asfalto, lasciando le città in uno stato di bellezza attonita, e di trionfo di chiaroscuri e colori, ai privilegiati che ne percorreranno, con inusitata calma e in assenza di traffico, le antiche strade.

Certo, per molti è una scelta obbligata da vincoli lavorativi, che coinvolge in una reazione a catena almeno un membro della famiglia o del gruppo in partenza; ciò non toglie che l’effetto di una psicosi di massa sembra inequivocabile.
Ma voglio andare oltre, e ragionare sul concetto stesso di vacanza.
Staccare dalla consueta scansione delle settimane dettata dal lavoro, o dello studio, è un’esigenza fuori discussione: quante volte, in anni passati, ho atteso e vissuto anch’io le ferie come una gioiosa, impagabile liberazione.
Se mi guardo indietro, però, ho molta pena, nel vedermi nella situazione del carcerato che festeggia come qualcosa di impareggiabile la propria ora d’aria; e nel vedere tanti carcerati che si avviano tutti insieme negli stessi cortili circondariali, celebrando così l’ennesimo rito collettivo imposto da una società del finto benessere.
Da quando mi sono conquistato la straordinaria libertà di essere padrone, giorno dopo giorno, dei miei orari di lavoro, è venuta meno la mia dipendenza vorace dalle almeno tre settimane continuative di stacco che capivo essere il minimo indispensabile per riprendere fiato e vigore.
E mi sembra di aver compreso qualcosa di più profondo sul concetto stesso di vacanza.
Qualcosa che ha a che fare con la dilatazione dei tempi più che con la ricerca di località piacevoli, o nuove, o amate. Qualcosa che ha a che fare con la propria crescita interiore più che con la distrazione disintossicante. Qualcosa che anzi più che mai ti sollecita domande sulla tua vita, anzichè soffocarle nella confusione, nel chiasso, nella musica di un divertimento forzato e ripetitivo, o nella riscoperta mordi e fuggi di località naturali per il resto dell’anno lontanissime dalla tua esperienza.
Poi, è vero, anch’io non rinuncerò ad un breve periodo in montagna, fra luoghi e amici che amo da molti anni: sono il primo ad esserne lieto, e certo di un vantaggio per la mia salute fisica e morale; ma la prospettiva è cambiata molto: quelle giornate saranno solo una parte, e non la più importante, dell’intera stagione estiva vissuta come tempo in cui lo spazio della vacanza, il ‘vacuum’, cioè il vuoto, il varco fra le attività quotidiane, e di pari passo la contemplazione, lo stupore, la vividezza dell’esperienza sensoriale, hanno maggiore e continuo diritto di cittadinanza.

“Ma io faccio dei bei viaggi nel mondo, a volte anche in altri periodi dell’anno: non saprei rinunciare all’arricchimento che mi dà viaggiare!” ribatterà qualcuno.
Ecco, è ancor di più a questo proposito che voglio schierarmi, forse un po’ violentemente, contro la mentalità diffusa.
Un viaggio in terre lontane, soprattutto se effettuato in aereo, ha un impatto ambientale immenso (soprattutto per la quantità di carburante necessaria e relative emissioni, ma non solo); non è dunque altro che un grande lusso, anzi, nei confronti del nostro pianeta, un grande delitto.
E’ come farsi un bel giro su ipotetiche montagne russe alimentate da turboreattori, lasciando egoisticamente, sul suolo del luna-park, una moltitudine di gente affamata e assetata, e, appena fuori di esso, un distruttivo incendio di immense proporzioni.
La differenza è unicamente che chi parte per un viaggio non si accorge di quella moltitudine, e di quell’incendio, metafore molto realistiche del dissesto sociale planetario attuale, e di quello ambientale forse definitivo per le sorti dell’umanità.
Chi è abituato a concedersi normalmente la grande distrazione di un bel viaggio, a considerarla anzi l’aspetto più interessante della propria vita (confortato in questo dall’evidenza del proprio vissuto), non potrà che provare fastidio per queste mie parole, e ritenermi un moralista ascetico ed esaltato, e avrà sicuramente pronti mille argomenti relativi ai tanti compromessi fra coscienza sociale ed individualismo di cui anche la mia vita è inevitabilmente piena.
Non posso, al proposito, che ribadire, alla loro, l’evidenza del mio vissuto.
Non a caso ho definito ‘grande distrazione’, quella di un bel viaggio. Penso che l’arricchimento culturale sia secondario a quell’esigenza di colori, odori, sapori, situazioni umane e sociali, da andare a saggiare e scoprire per puro (o comunque principale) divertimento, distrazione, talvolta fuga, da quelle famose domande. Personalmente non ne sento affatto il bisogno, anzi sento proprio l’esigenza contraria, quella di non sradicarmi così intensamente dalla mia vita quotidiana, di non perdere tempo, denaro ed energie alla ricerca di qualcosa che devo cercare innanzi tutto dentro di me, nell’ascolto, e poi nelle modifiche da apportare al mio cammino nella stagione che verrà.
E ancora una volta noto con piacevole sorpresa che le scelte dettate dalla consapevolezza etica hanno anche un’immediata remunerazione in termini di qualità di vita; cioè che quelle che possono sembrare austere rinunce, fatte in nome dell’ideale, contengono già in sè l’arricchimento che si andava cercando nell’oggetto stesso della rinuncia. Fare un passo indietro per conquistare terreno.
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Bene, ora che mi sono tirato addosso un po’ di antipatie, rincarerò la dose, portando il discorso su un argomento solo in apparenza lontano, ma su cui posso applicare ragionamenti ed esperienze similari: quello dell’alimentazione.
Come viaggiare in aereo per vacanza, così pure mangiare carne, in una prospettiva ambientale, è un lusso, per non dire anche in questo caso un delitto. Le risorse naturali necessarie a portare una porzione di carne sul nostro piatto, o dentro il nostro panino, considerando tutto il ciclo dell’allevamento (e relative emissioni), sarebbero sicuramente insufficienti a garantire lo stesso risultato a tutta la popolazione mondiale, mentre l’alimentazione vegetariana sarebbe in grado di sfamare tutti quanti. Dunque mangiare carne significa sottrarre risorse elementari a chi ha fame.
Ancora una volta la cosa non ci colpisce, perchè non li vediamo, quel miliardo di affamati che popolano la Terra, come se abitassero in un pianeta lontano; mentre la bistecchina, o, peggio l’hamburger, fanno parte delle nostre inveterate e ormai antiche abitudini quotidiane.
Ancora una volta cadiamo nella trappola di pensare che sia l’offerta a generare la domanda e non viceversa, nel più elementare assunto del consumo critico.

Proprio come nel caso di viaggi e vacanze, anche il mio orientamento ormai quasi esclusivamente vegetariano, derivato in prima battuta da queste considerazioni, è una rinuncia che ha avuto immediatamente una contropartita di benessere. Senso di leggerezza e di disintossicazione mi tengono stabilmente e senza alcuno sforzo ben lontano dalla carne, salvo i casi in cui, in situazioni di compagnia o di impossibilità, non abbia senso mostrarsi dogmaticamente intransigenti.
D’altra parte è facilmente intuibile che alimenti vegetali, quando possibile biologici, siano molto più immuni dai rischi di sofisticazione, ahimè altissimi nei processi industriali complessi, quelli appunto che hanno a che fare addiruttura con la vita, e l’alimentazione, degli animali allevati.
Senza alcuno sforzo, in questi ultimi tempi, sto ora compiendo il passaggio successivo: da vegetariano sto diventando prevalentemente vegano, con l’eliminazione cioè dalla mia dieta quotidiana anche di pesce, uova, latte e derivati.
E credo che sia un’altra scelta molto opportuna anche solo a fini salutistici, come sembrano testimoniare articoli come questo.
A chi obietta che il cibo è cultura, e il piacere di certi piatti tradizionali un valore irrinunciabile, mi limito a dire che non ho mai apprezzato tanto i sapori, la cui varietà è comunque molto ampia anche senza carne e derivati, da quando ho abbandonato questi ultimi.
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Direi che può bastare: credo, salvo i rarissimi casi di chi già la pensa come me, di essermi reso per questa volta antipatico abbastanza, e per sufficiente tempo.
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Immagine da: http://wordlab1.wordpress.com/2011/03/29/casa-mia-non-brucera-mai-%E2%8E%A2-lintrusa-1-di-2/

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16 risposte a Post ascetico, ambientalista e antipatico

  1. Luca ha detto:

    E’ drammaticamente vero: i rituali e i cerimoniali della specie umana hanno qualcosa di sconcio ed intollerabile. La capacità di riflettere su sè stessi, l’autocoscienza, la possibilità di mentalizzare le proprie azioni e di farsi mappe interiori del proprio operato (che gli altri animali non possiedono, con qualche dubbio per i delfini che sono quasi mistici nel continuare ad amare l’uomo nonostante il modo ottuso ed arrogante in cui quest’ultimo li tratta) che dovrebbero, secondo una logica lineare, aristotelico-cartesiana, condurla vicino alla perfezione, la rendono invece (secondo una logica marxiano-sartriana un po’ meno lineare) incline all’inganno, all’opportunismo, all’autoindulgenza, alla sopraffazione, al totale non rispetto per l’ambiente ecc. ecc.

    Perchè la ragione spesso conduce non a soddisfare le proprie voglie (non solo ma anche) ma in vicoli ciechi apparentemente ineccepibili sul piano dialettico ma catastrofici su quello ecologico, che contempla una saggezza biologica prerazionale che la specie umana ha stravolto.

    In questa tristissima deriva entropica dell’Homo Sapiens (di cui la crisi finanziaria planetaria è l’ennesima e forse definitiva dimostrazione) il singolo infividuo oscilla e saltabecca fra due ipotesi estreme: l’acquiescenza conformista, e l’essere contro. Tutte e due portano a patologie abbastanza gravi, la prima a patologie interne di tipo isteroide-psicosomatico, la seconda a patologie esterne di tipo sociale. Trovare il punto di possibile equilibrio per vivere sereni è una ricerca che (per una ristretta e un po’ inquieta minoranza di esseri consapevoli) può occupare una vita intera. Ma ne vale la pena.

    • Franz ha detto:

      Mi soffermo solo sul finale del tuo approfondito commento, spostando il punto di osservazione dal singolo alla collettività.
      La ‘patologia di tipo sociale’ di chi “è contro” mi sembra rappresentare l’evidenziarsi dei sintomi della malattia sociale, da te descritta nelle sue origini e dinamiche.
      Come ogni sintomo, ha un valore prezioso di denuncia, puntuale, mirata, del male sotterraneo che affligge la società.
      E come ogni sintomo va ascoltato e lasciato esprimersi, e non va represso (come purtroppo è diffusissima abitudine considerare ‘cura’ l’utilizzo di farmaci inibitori delle manifestazioni sintomatiche); solo così si potrà sperare nella produzione di una salvifica reazione immunitaria.

      Tornando invece al punto di vista individuale, e alla tua ultima affermazione sulla ricerca della serenità, …ne vale certamente la pena.

      • Luca ha detto:

        Nell’intreccio fra il mio commento e il tuo controcommento, per la serie “il tutto è dato non dalla somma ma dalla moltiplicazione delle sue parti” emerge la drammatica e saliente differenza fra l’affrontare il malessere di una sia pur parziale, ma oggigiorno imperdonabile, diversità o scegliere l’omologazione indotta dai farmaci (sia legali e prescritti che illegali e/o legali ma autoprescitti, la maggior parte delle tossicodipendenze sono un ingenuo, sprovveduto e disperato tentativo di autoterapia); e quindi in modo più netto ancora, la scelta fra la dipendenza e l’indipendenza. Quanto gloriosa ma anche quanto difficile quest’ultima, anche perchè quando la scegli è progressivamente sempre più difficile tornare indietro.
        Buon agosto ed arrivederci a presto.

      • Franz ha detto:

        Sindrome di “dipendenza da indipendenza”.
        Assolutamente da non curare!
        Un buon e fruttuoso agosto a te.

  2. Riri52 ha detto:

    Per motivi vari in questi mesi non ho mangiato carne, nè cibi elaborati, una vera dieta. E in effetti mi sono accorta che si può vivere modo diverso da quanto ci fanno credere. Non è solo il rispetto dell’ambiente, è anche la qualità della vita che cambia, compresa la sensazione di poter scegliere scegliere. Quanto ai viaggi, che in effetti ho sempre desiderato fare, ora mi appaiono troppo turistici, dove la realtà locale scompare dietro le esigenze del viaggiatore. Non credo sia facile e possibile vivere realmente come i popoli che si visitano! L’ultima vacanza l’ho fatta quasi isolata in cima a una collina, fra sole e aria fresca. E il solo canto degli uccelli come rumore di fondo. Un vero paradiso. Ciao Rri52

    • Franz ha detto:

      Ecco un’altra amica con cui mi riesce impossibile rendermi antipatico…
      Mi piace, come dimostri con il tuo contributo, che si possa arrivare a conclusioni molto simili, riguardanti lo stile di vita, attraverso percorsi diversi.
      Mentre per me, sia per quanto riguarda i viaggi, sia l’alimentazione, l’origine è stata concettuale (la valutazione di carattere ecologico), per te ci sono all’origine cause e motivazioni molto diverse, in entrambi i casi.
      A dimostrazione, una volta di più, della bontà delle scelte di sobrietà, e delle relative ricadute positive sulla nostra vita.

      Grazie, Riri, e ciao!

  3. Lorenza o vitamina ha detto:

    Caro Franz, grazie delle frasi lasciate nel mio post, non so se sei tornato a leggere , quindi ti dico qui che un pò di giorni fa sono venuta a Bologna , in una di quelle giornate della bolla africana , per incontrare una blogger della nostra età , che vive lì per una parte dell’anno . Non la conoscevo e siamo state insieme quasi come vecchie amiche , andando a vedere opere d’arte che la città custodisce nei musei e palazzi . Mentre la aspettavo davanti alla Stazione guardavo dentro i taxi per vedere se ti riconoscevo, anche se mi pare di aver capito che non sia la tua zona di lavoro . Sarebbe stato bello incontrarti. Capisco lo spirito di quest’ultimo post , ho provato cose simili molte volte , si pensa che il mondo debba scuotersi e che non sarebbe così difficile farlo , in fondo . Io non faccio viaggi esotici perchè non posso permettermeli , in primo luogo , ma anche perchè viaggiare con le agenzie nei grandi anonimi hotel , osservare per esempio la povertà senza intervenire sarebbe contrario al mio modo di vedere le cose . Sui viaggi la penso come te , sul cibo non proprio , forse perchè con il negozio bio ho visto molti estremismi . E’ un pò che penso ad un viaggio a piedi , credo che proverò ad organizzarlo o ad aggregarmi ad altri , dapprima per pochi giorni , per vedere come funziona per me . A presto .

    • Franz ha detto:

      Cara Lorenza, stare dietro alla prodigiosa prolificità del tuo blog è una vera e propria impresa: avevo letto il tuo post sulla gita al mare, con i tuoi gentili riferimenti al mio commento precedente, ma non il successivo, in cui mi rivolgi ancora l’attenzione con delle bellissime parole.
      La prossima volta che passi da queste parti sarà cosa buona e giusta, tuo dovere e fonte di salvezza farmelo sapere (puoi trovare un mio indirizzo email nella pagina ‘mi presento’ linkata qui nella colonna di destra), così potremo conoscerci di persona e potrò farti fare un giro sulla Cavallona, che, come saprai, è il mio taxi.
      Per quanto riguarda gli argomenti di questo post, mi piace la tua idea di sperimentare il viaggio a piedi, che ha una dimensione di lentezza e riflessività affascinante.
      Ti prego però di leggere la mia ultima risposta nella discussione con Francesca (subito qui sotto), che chiarisce meglio come la penso sui limiti delle ‘buone pratiche’ individuali di rispetto e consapevolezza.

      Un carissimo saluto.

      p.s.: sto partendo per Firenze, dove don Luigi Ciotti inaugura la Festa di ‘Libera’; replicherò al tuo ultimo post appena potrò farlo con la dovuta calma.
      Ciao!

  4. Francesca ha detto:

    Te lo dico con l’affetto che sai, ammettendo il consumo di carne, ma dichiarando un parco consumo di più o meno tutti i beni materiali (con un’eccezione, che lo smorza appena appena grazie alla frequentazione, talvolta, delle biblioteche: la carta dei libri), la dismissione dell’auto da quando vivo in una città con una bellissima rete della metropolitana e negando nel modo più assoluto l’abitudine dei viaggi “esotici”, che non ho mai fatto, seppure non in nome dell’ambiente, ma perché attratta prima di tutto dai luoghi più vicini a me e anche perché presa da una sorta di pudore e di ritrosia che mi colgono all’idea di confrontarmi più direttamente con la povertà dei paesi “esotici”: immagino che le tue scarpe da ginnastica, il tuo zaino, il tuo cellulare, il tuo pc, il tuo modem, il tuo spazzolino da denti, gli imballaggi dei prodotti che compri, l’isolamento della tua abitazione, le tubature del gas, la vernice stesa sulle tue pareti di casa e, più generalmente, tutto quello che hai in casa sia prodotto integralmente a partire da fibre naturali. Immagino anche che i server su cui sono memorizzati il tuo blog, il tuo profilo facebook e le tue email e anche quelli dove planano i tuoi commenti siano alimentati ad energia eolica o con un’altra energia rinnovabile. Immagino poi che tutto ciò che compri sia prodotto nel tuo comune di residenza e che comunque nessun prodotto da te acquistato sia sottoposto a viaggi di centinaia se non di migliaia di chilometri su treni alimentati ad energia elettrica prodotta a partire dal carbone, dal petrolio o dal nucleare oppure sia sottoposto, come è più probabile, a trasporto su gomma, prima di essere distribuito e di arrivare al negozio dove vai a fare la spesa. Immagino anche che un post corrispondente al tuo sia stato scritto da un blogger cinese. Che poi nessun operaio dei prodotti di cui fai uso sia stato sottopagato o leso in un suo qualche diritto, deve essere, nel tuo caso, senz’altro fuori questione.

    • Franz ha detto:

      Da alcuni anni i miei acquisti di scarpe avvengono tramite il sito di ‘Gaia’ (vedi qui), un’associazione milanese ecologista e vegetariana (anche nei materiali delle stesse); nonostante l’impossibilità di provarle, sono stati acquisti sempre azzeccatissimi, salvo un caso, quando comprai delle scarpe sportive, comode ma inadatte ai miei allenamenti podistici, tanto che stavo per rovinarmi i piedi.
      Questo per dirti che l’attenzione all’impatto ambientale delle mie scelte quotidiane è, almeno nelle intenzioni, una costante, e non un capriccio o un’infatuazione settoriale.
      Dato che mi piace e mi ritengo vocato a vivere nel mondo, e non isolato in un eremo, è normale tuttavia che quelle mie scelte quotidiane debbano costantemente scendere a patti con l’ingiustizia, sociale e ambientale, che in qualche modo sottendono.
      Mi sembrava di aver almeno accennato a questo concetto, nel mio scritto, oltre al fatto che mi sembra una cosa ovvia, tanto che mi sono meravigliato che una persona di intelligenza e cultura sopra la media, come sinceramente considero te, possa muovermi, sia pure con affetto, quelle sottintese critiche.
      L’esercizio dell’autocritica, di fronte ad una sollecitazione come questa tua, non può che innescarsi: lo considero un seme gettato nel terreno per un’eventuale evoluzione del mio pensiero, anche se per ora, sarò sincero, propendo per l’idea di aver semplicemente colpito nel segno con le mie provocazioni, tanto da causare l’evento non frequente di un tuo contributo, per di più concettualmente molto elaborato in quel variopinto elenco, ma, temo, meno costruttivo che in altre passate occasioni.

      • Francesca ha detto:

        Vero, non è stato un intervento costruttivo e non lo sarà – temo – neanche ora. Non voleva neanche mettere in dubbio né le tue scelte né la loro bontà o meno. Voleva solo dare concretamente degli esempi della varietà delle scelte a disposizione e soprattutto suggerire il loro diverso impatto e come possa essere complesso il bilancio dei consumi fatti da ognuno di noi, perché lunga è la catena delle manipolazioni a monte della vendita al dettaglio, anche dei prodotti apparentemente più innocui. Niente di nuovo, quindi, come vedi.
        A me pare che sia lodevole essere consapevoli di quello che comporta ogni scelta individuale, ma che non si possa escludere che scelte alternative siano possibili. Se io mangio la carne (e, conoscendo me e la storia che ho alle spalle, continuerò a farlo), tenuto conto che in molti altri aspetti cerco – anch’io dove possibile, ovvio – di fare attenzione, dovrei sentirmi in colpa? Devo per forza diventare vegetariana o vegana?
        In tal senso, il mio intervento voleva forse anche esprimere un mio disagio di fronte ad una presa di posizione che non sembrava ammettere alternative di sorta.
        Mi pare anche che si tenda a non sentirsi affatto responsabili di scelte fatte a livello nazionale (o sovranazionale) perché non dipenderebbero né direttamente né indirettamente da ciascuno di noi. Prendi il termine “casta”, che sembra circolare molto nell’Italia di oggi: l’uso debordante di questo termine mi induce a ritenere che coloro che non hanno votato per l’ultima maggioranza parlamentare non si sentano nemmeno lievemente coinvolti nel tipo di percorso politico-economico intrapreso a livello italiano (ed europeo, ecc.), che tra l’altro non è stato molto più virtuoso sotto maggioranze di altro colore, quando proprio quelle scelte politico-economiche nazionali e sovranazionali sono le scelte che comportano il maggiore impatto ambientale e quelle verso cui – a me pare – si dovrebbero dirigere tutte le forze a disposizione. In tal senso, a me piacerebbe, idealmente, che ci assumessimo tutte le responsabilità, comprese quelle dovute al fatto di non essere riusciti ad impedire l’ascesa di una certa classe politica e di non averne favorita un’altra. E non da oggi.
        Mi sa che ho debordato. Perdonami.

      • Franz ha detto:

        Credo sia utile distinguere il piano delle cosiddette ‘buone pratiche individuali’, dettate dalla consapevolezza (o quanto meno dall’attenzione) verso le premesse e le ripercussioni delle nostre normali e quotidiane scelte di vita, da quello dell’azione politica orientata alla lotta contro le ingiustizie sociali e i dissesti ambientali.
        Tutto il mio scritto, e anche il tuo primo commento, era limitato al primo campo, benchè una discussione in Rete abbia già in sè anche una connotazione pubblica, e per questo politica, superiore a quella minimale di una chiacchierata dal vivo fra due amici.
        Normale che le buone pratiche individuali presentino un menu di opzioni variegato, e che la predisposizione ad esse di ciascuno di noi si manifesti in un insieme personalizzato di attenzioni, scelte, preferenze, rinunce.
        Cionondimeno, i viaggi e l’alimentazione mi sembrano due argomenti sui quali si gioca una parte preponderante dell’effettiva possibilità di rendere la nostra presenza sulla Terra più compatibile con l’ambiente, sia per la scarsissima diffusione dell’approccio etico (ecologico e sociale) ad essi, sia per la loro effettiva incidenza.

        Il tuo secondo commento apre tuttavia il campo all’altro piano, quello prettamente politico.
        E qui sfondi una porta aperta, tanto che sono il primo a sostenere, quando mi capita di discuterne, il primato indiscusso dell’azione politica rispetto a quella individuale, per una semplice questione di numeri, di portata della singola azione.
        Potrei anche mangiare quintali di hamburger (per qualche oscura perversione), ma se intanto riuscissi ad assumere ruoli decisionali, o a dare forza e potere a uomini, donne, gruppi, movimenti, partiti, capaci di orientare correttamente la politica, avrei ottenuto un risultato enormemente più grande che limitandomi a una dieta personale eco-compatibile.

        Era giusto puntualizzare questo aspetto, e il tuo “aver debordato” si è rivelato perciò molto utile.

  5. milvia ha detto:

    Debbo essere sincera: questa mattina, quando, prima di prendere il treno per tornare a casa dopo un magico fine settimana trascorso a Santarcangelo di Romagna, ho scorso velocemente i nuovi post dei miei blog preferiti, e velocemente ho letto pure il tuo, quindi, ecco, ho provato un senso di irritazione. Ho pensato: è integralista, la posizione di Franz, ti bacchetta senza neppure darti la possibilità di alzare le mani a coprirti il viso, per non essere colpiti. È sentenziosa, ho pensato. E per tutto il viaggio ho riflettuto su come avrei potuto controbattere quelle tue intrasingenti affermazioni, perché, sì, mi sono sentita tirata in ballo, io, che di viaggi ne ho fatti tanti, che di aerei ne ho presi tanti. Mi ero preparata nella testa, sul treno del ritorno, un bell’elenco di asserzioni, da scrivere come antitesi alla tua tesi, che sì, era proprio antipatica, mi dicevo.
    Poi, rientrata nel mio appartamento, disfatto lo zaino, innaffiate le piante assetate, risposto alle mail che in questi giorni si erano accumulate, l’ho riletto, il tuo post. Con attenzione, questa volta. E non l’ho più visto come integralista, e antipatico, e tutte le brutte cose che avevo pensato. Perché, incredibilmente, mi vien da dire, mi ci sono ritrovata. Perché su quello che tu hai scritto, è un po’ che ci lavoro sopra, coscientemente, ma anche no. Il che non mi impedisce di provare nostalgia per le mie “patrie” lontane, e non mi impedirà (ancora) di prendere qualche aereo, quando se ne presenterà la necessità. Ma mi è sempre più chiaro che la differenza fra “turista” e “viaggiatore” (categoria, quest’ultima, in cui amavo inserirmi, presuntuosamente), in realtà è una differenza effimera, direi letteraria. E che i veri viaggi, quelli che ci modificano davvero, sono quelli all’interno di noi stessi. E, ancora, che non occorre andare poi tanto lontano per scoprire bellezza e armonia.
    E che, infine, “percorrere le antiche strade con inusitata calma e in assenza di traffico, [sperimentare] la bellezza attonita, e di trionfo di chiaroscuri e colori della città” è proprio il mio sogno estivo. Facile da realizzare e non inquinante.
    Sul cibo… non scrivo niente, sul cibo, perché come sempre ho già scritto troppo, e non mi sembra corretto lasciare commenti così lunghi, anche se lo faccio spesso. Ma anche su questa scelta, ci sto lavorando, e da anni (sia sull’abbandonare la carne, sia sul dono della sintesi, intendo). Vegana, però, no. Proprio non credo.

    • Franz ha detto:

      Rendermi davvero antipatico a te penso che sia un’impresa molto ardua, vista la nostra comunanza di idee e di approccio all’esistenza, nonchè la profonda amicizia che ci lega.
      Spero dunque che il tono volutamente duro e provocatorio del mio scritto possa esserti di stimolo positivo, nel tuo lavorio interiore su questi temi, giustamente lento e progressivo.
      E a proposito di progressività, anch’io avrei escluso di diventare vegano, ma mi accorgo ora che farlo come scelta prevalente e non rigida è il normale sviluppo del mio, ‘lavorio interiore’.
      E poi, come diceva James Bond, “mai dire mai”!

  6. Superfragilistic ha detto:

    Mio caro, sono anch’io una moralista senza freni perciò sono piuttosto d’accordo con te. Per quanto mi riguarda la vacanza quest’anno piuttosto la subisco: il cugino americano incombe ed ha deciso che trascorrerà con noi l’intero agosto. Sarà l’occasione buona, visto che lui da americano classico mangia e mangia, consuma e consuma, per affettare tutte quelle soppressate e capicolli che, dono di pazienti al medico coniuge ed inutilmente posti sottovuoto in attesa di essere mangiati, finalmente troveranno fauci consumiste. La carne dei poveri maiali, curati con amore dai pazienti contadini, hanno di certo un diverso impatto sull’ambiente se non vogliamo prendercela pure con la crudeltà di chi uccide quelle povere bestie. Potremmo fare come il mio amico Lorenzo nel cui pollaio crescono e convivono vari galli e galline in attesa di una morte naturale dopo lunga e felice vita. Un abbraccio

    • Franz ha detto:

      Carissima, l’immagine con cui concludi, quella del ‘pollaio zoologico’, non può che strappare un tenerissimo sorriso, così come un sussulto di orrore evoca l’immagine del vorace e devastante cugino yankee che sta per piombarti in casa.
      Quanto ai maiali, penso che quelli “curati con amore dai pazienti contadini” rappresentino una trascurabile percentuale del mercato di carne suina; normalmente mi risulta che siano ingozzati di schifezze e allevati senza interesse verso le loro condizioni di vita (e di morte), nè tantomeno sull’effetto serra delle loro emissioni.
      Per finire, e per rendermi un po’ meno antipatico anche ad altri eventuali lettori e lettrici, ti dirò che soppressate e capicolli che mi fossero regalati finirebbero ben presto nelle …’mie’ fauci, senza lacrime di coccodrillo e in fondo senza tradire i principi del consumo critico, visto che a quel punto non potrebbero che essere mangiati…
      Un abbraccio a te!

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