20-6: La provinciale per Anghiari

Scendo le scale cercando di non fare rumore. Sono le sei e un quarto e i bassi raggi del sole, se ancora non scaldano l’aria molto fresca, già illuminano il giardino fiorito, dove la signora mi ha preparato il bollitore per il tè e un cestino con prodotti confezionati.
Nell’atmosfera ipnotica di cinguettii e gorgheggi, faccio colazione in compagnia del suo cane, che pietisce inutilmente qualche boccone.

Alle sei e tre quarti mi incammino, quasi in punta di piedi, per non turbare la magica atmosfera di questa zona lussureggiante.

Se escludiamo il primo e l’ultimo chilometro, o poco più, l’intero tragitto odierno (di ventitré chilometri) si svolgerà su un’unica provinciale, quella per Anghiari.
Il rischio di smarrirsi è dunque annullato e soppiantato dal timore di un lungo percorso monotono e trafficato.
Vista l’efficacia dei miei primi due esperimenti, gli amici su Facebook mi hanno chiesto di pubblicare ogni giorno un breve filmato con le mie impressioni in presa diretta.
Decido di farlo subito, approfittando di questa atmosfera intensa che probabilmente non ritroverò.

Poi proseguo per le stradine che mi portano ad attraversare il piccolo ma suggestivo centro di Quarata (siamo a un tiro di schioppo da Arezzo), restando completamente schiavizzato dal mio compagno di viaggio elettronico, a cui chiedo in continua alternanza di indicarmi l’itinerario, di scattare fotografie

e di controllare la pubblicazione del mio filmato, che stenta a concludersi positivamente, privandomi così del piacere di diffondere un rilassante messaggio di buongiorno agli amici.

In breve raggiungo la provinciale e sembra confermato il mio timore,

quello di dover procedere per quattro o cinque ore a ridosso di frastornanti veicoli motorizzati.

Per la prima metà abbondante, la situazione non sarà molto diversa, pur con qualche tratto più piacevole (come quello nell’immagine iniziale) e tuttavia concedendomi, di tanto in tanto, la possibilità di qualche interessante scatto fotografico.

Lungo la strada sono previsti solo un paio di piccoli agglomerati. Raggiungo quello di Chiaveretto, posto poco oltre metà percorso, intorno alle nove e mezza.
Adocchio un’unica insegna: “Osteria – alimentari”.
Dalla parte opposta, una piccola strada dà accesso a una zona verde.
Mi ci infilo, per riposarmi un po’, appoggiato a un tronco d’albero, che mi lascerà una profumata e piccicosa traccia di resina sulla maglietta.
Consultando la mappa, capisco che questa è l’ultima possibilità per fare un po’ di spesa, se non voglio prolungare il percorso alla fine.
Quando sono dentro, l’occhio cade subito su una bella pastina alla crema con la frutta sopra, che mi sta chiedendo imperiosamente di essere mangiata, accompagnata da una bibita.
“Che cos’ha fuori frigo? Dei succhi di frutta? Si, quello di ananas.”
Più tardi, rimuginandoci, condannerò questa mia scelta poco ecologica, di frutta proveniente da terre lontanissime, ripromettendomi di scegliere, in futuro, un succo d’arancia.

Anche se non credo di averlo sottolineato, tutte le tappe fin qui hanno conosciuto due parti molto diverse fra loro, separate da una sosta.
Non fa eccezione quella di oggi: la monotonia, che sembrava connotarla per intero, si spezza d’incanto.

Dopo il minuscolo centro abitato, infatti, comincia la lunga salita fino al valico della Scheggia e la strada cambia aspetto, immergendosi in una vegetazione boschiva, presentando diverse curve e, ciò che più conta per me, calando vistosamente l’intensità del traffico: per lunghi tratti non passa più nessun veicolo e si tornano a sentire gli uccellini e le rare ma benvenute folate di vento.

Il sole picchia forte e la salita è impegnativa, ma provo molta più soddisfazione ora, mentre il fisico è messo alla prova.
Raggiungo in un’ora il passo, a quota cinquecentosettantacinque metri.
Non è un valico panoramico: mi devo accontentare dei piloni affogati nella boscaglia.

Mi aspetto dalla discesa il sollievo dalla fatica e un nuovo impulso a procedere veloce.
E invece la fatica compare proprio ora.

Il senso di isolamento, senza quasi tracce di antropizzazione e senza la minima copertura di rete telefonica, mi porta a forzare un po’ l’andatura, per un tempo e una distanza che sembrano non finire più.

Ma poi, quasi improvvisamente, la discesa finisce, il panorama si riapre

e di lì a poco torna anche un po’ di campo per il telefono, proprio mentre compare un’indicazione, su una laterale a destra, per il mio agriturismo.
Provo immediatamente a contattarlo, ai due numeri che ho memorizzati: ero d’accordo di avvertire e non vorrei che non ci fosse nessuno ad aspettarmi.

Il primo risulta non raggiungibile, al secondo risponde una signora:
“No, io sono la sorella, attenda che le do il numero da fare.”
“Guardi, io intanto vado su…”
“Come? Pronto? Non sento più niente…”
Mi tocca addirittura spegnere il piccolo telefono, imballatosi del tutto.

Il panorama che mi si presenta nel chilometro finale, in mezzo alla natura, è dolce e sorprendente.

E il percorso termina con una salita micidiale che mi porta, alle dodici e trenta,

all’entrata di un agriturismo dall’aspetto molto curato e invitante.
Non ci sono ospiti, ma compare, salvifico, il proprietario, che mi accoglie con molta gentilezza.

Informazioni su Franz

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2 risposte a 20-6: La provinciale per Anghiari

  1. Amanda.B ha detto:

    Quelle di questa tappa, sono a mio giudizio, fino ad ora, le foto più belle

Commenti:

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