Al Caffè del Rosso

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Da qualche tempo la gloriosa mensa dei ferrovieri, che frequentavo quasi ogni sera, mi vede molto meno spesso come suo ospite: qualche modifica alla mia dieta e ai miei ritmi orari di vita quotidiana, e la sana e sacrosanta voglia di variare, mi hanno portato ad ampliare la rosa delle possibilità per la cena.
Una delle scoperte più piacevoli, a questo proposito, è stata il ‘Caffè del Rosso‘, un locale in centro che da molti anni ha tradito il suo ambito originario per diventare una discreta trattoria a prezzi contenuti, con la cucina aperta fino alle dieci e mezza.
Un paio di sale illuminate ed arredate con gusto, con immagini della Bologna antica alle pareti, clientela di studenti e turisti, personale molto giovane e garbato, in prevalenza femminile, e un’indefinibile generale atmosfera di armonia.
Quasi cinquant’anni fa il Caffè del Rosso era ancora un caffè, anzi un bar, come mi ricordo si faceva chiamare.
E fra i suoi frequentatori serali c’era abitualmente anche mio nonno Riziero, che lasciava la casa in custodia alla nonna e alla zia Maria per andare a giocare a carte, anzi “alle carti”, come diceva con una strana storpiatura dialettale.

Avevo un appuntamento con lui, l’altra sera, in quello stesso locale; me l’aveva dato in sogno la notte prima.
Dopo aver ordinato, aspettavo l’arrivo delle mie mezzemaniche al pomodoro e ricotta, ma soprattutto, con una discreta dose d’inquietudine, quello, dagli inferi, del mio commensale.
Sono arrivati, le mezzemaniche e il nonno, quasi nello stesso momento.
L’ho visto entrare, molto spaesato, come chi non si ritrova più in un vecchio posto un tempo frequentato e amato.
Da parte mia, invece, ho riconosciuto subito quel viso particolare, a forma di scudo allungato, dalla barba rasata sulla pelle chiara, anzi ancor più chiara che nel ricordo; ed ho riconosciuto le sue gambe storte, arcuate, e la giacca grigia e il gilet di lana marroncino, classici, ma ormai un po’ fuori moda; mi è sembrato solo stranamente più basso.
Mi sono precipitato verso l’entrata: “Nonno!”
“Sei tu, Francesco?” mi ha domandato con una voce ancor più trasecolata di quella che ricordavo.
“Sono io,” e gli ho dato due baci sulle guance, riprovando con un piccolo trasalimento quell’antichissima sensazione sulla sua pelle ispida.
“Ma guarda…, t’i dguintè un ómen…”, sei diventato un uomo, mi fa con quel suo un po’ teatrale senso di sorpresa.
“Eh, gli anni passano, e ne sono passati tanti, ma tanti…” ribatto; “dai, vieni a sederti, ti ho tenuto il posto” e lo conduco al mio tavolino.

“Mi fa piacere, nonno Riziero, che hai scelto me per rifarti vivo, certo anche grazie alla complicità del tuo vecchio locale. Come te la passi, ora, puoi dirmi ‘dove sei’, in che specie di luogo o di stato?”
“Sì,” ribatte sempre con quella sua voce ancestrale: “è tutto vero, sai, Dio, l’inferno, il purgatorio, il paradiso; io allora non ci credevo molto, o forse cercavo di non pensarci, giusto quando c’era la processione della Madonna di San Luca; ma dopo la morte ho potuto verificare. E sono finito nel purgatorio, …ma per il rotto della cuffia” aggiunge con un sorriso sornione.
“E sei ancora là?”
“Sì, ormai siamo agli sgoccioli, e la penitenza finalmente sta per terminare. Ma non poteva finire se non venivo in terra a chiedere perdono di tutti i miei peccati, che sono stati tanti. Ecco perchè sono qui.”

“Vuole ordinare qualcosa?”
E’ la moretta che mi stava servendo, che ora si rivolge con gentilezza al nonno.
“No, grazie,” fa lui: “solo un po’ d’acqua fresca;” poi mi guarda ancora con attenzione: “t’i própri dguintè un ómen…” dice trasalendo, poi sospira e aggiunge: “ed io credevo di ritrovare quel bimbo, magrolino, educato, quello che suonava così bene il pianoforte…”
“Eh lo so che ti piaceva nonno, ti entusiasmavi, ogni giovedì sera a casa nostra, mi chiamavi il professore. E non sai quanto mi costò quel tuo gradimento…” mi lascio sfuggire.
“E perchè?, eri così bravo…”
“Tu non lo sai, ma quelle lezioni erano un incubo, con la maestra bella e cattiva che mi strillava spaventosamente nelle orecchie, e la mamma che non interveniva, e che non voleva capire quanto male mi faceva, succube di quel tuo entusiasmo solo per devozione verso di te, e io, anno dopo anno, così timido che non avevo neanche il coraggio di immaginare di smettere.”
“Ma cosa mi dici, a m’ spiès dabbòn, Franzschèin”, mi spiace davvero, Franceschino, e mostra un sincero, addolorato rincrescimento; “d’altra parte son qui apposta per finire di scontare i miei peccati…”

E, mentre sferro gli ultimi attacchi alla pastasciutta, aggiunge:
“Di peccati ne ho fatti tanti, specie in gioventù, ed è verso tua nonna che ho soprattutto i miei debiti, forse lo sai; ma lei è andata dritta dritta in paradiso, e ho fatto appena in tempo a farmi perdonare” e beve un goccio dell’acqua che gli ho versato nel bicchiere.
“Lo so, sapevo che gliene combinasti di cotte e di crude, ma, se devo essere sincero, io ti ricordo come un anziano un po’ altezzoso, forse con l’antica abitudine a comandare e a fare il prepotente, ma in fondo piuttosto dolce nella vita quotidiana. Mi ricordo che mi nascondevi sempre una moneta da cento lire sotto il piatto, quando ero a pranzo da voi…”
“Allora, Francesco, sono stato un bravo nonno?”
“No, non ho detto questo. Se faccio un bilancio delle terribili difficoltà affrontate nella mia vita, fin dai primi anni, non posso esimerti dall’averne avuto tu la principale responsabilità, sia pure indirettamente, sia pure attraverso quella persona fragile e irrisolta che fu mia madre. Una colpa che tuttavia ti toccò scontare già in vita, con la morte prematura di lei, e quel dolore lancinante e inconsolabile che si impossessò di tutti voi, ben più che di me, appena adolescente, e smarrito.”
Vedo il disagio sul suo volto, quello di chi non vorrebbe ascoltare rivelazioni così inattese e penose.

Riflette a lungo, poi: “Adesso credo di capire perchè sono stato mandato proprio da te” aggiunge gravemente.
Poi ribatte: “Allora la tua vita fin qui è stata difficile.”
“Sì nonno, la mia vita, che pure devo anche a te, è stata difficile, e quasi mai allegra, al contrario della tua, a suo tempo.
Eppure, diversamente da te, non ho conosciuto la guerra, e nemmeno il carcere fascista. Sono vissuto in un periodo e in un luogo fortunato, forse fra i più fortunati possibili, con il boom economico, i favolosi anni ’60, come ora vengono chiamati, a fare da sfondo vitale ai miei drammi infantili incompresi e inconfessati; ed ho potuto poi coltivare le mie vere passioni, e vivere tante emozioni intense, quelle sì.
E ho fatto incontri straordinari che hanno indirizzato al meglio il mio cammino.
E in questi ultimi anni, infine, ho potuto assistere al diffondersi di una magia mondiale assoluta: un sistema per comunicare, per informarsi, esprimersi, raccontare e raccontarsi al cospetto del mondo intero, che nemmeno te lo immagini. E’ un po’ come se ognuno di noi potesse fare la propria televisione e guardare quella di tutti gli altri.”
Mi guarda stupito: “Cus t’am caunt!,” cosa mi racconti, e finge di aver capito.
Ma resta silenzioso a meditare, e io non replico.

La ragazza mi porta un bel piatto di verdure gratinate, e un sorriso.
Ed io cerco ora di stemperare un po’ quelle rivelazioni, probabilmente troppo forti ed inaspettate alle vecchie e grandi orecchie del nonno: “Comunque, le feste di Natale e di Pasqua a casa vostra, con gli zii e tutti quanti, erano assolutamente fantastiche, davvero! Una cascata di luce, di calore, e, quelle volte sì, di allegria.”
Sorrido; lui mi guarda triste, poi ricambia il sorriso.
Quindi, curioso: “E il mondo, com’è cambiato, in tutti questi anni?”
“In una maniera indescrivibile, con una velocità e quantità di eventi pazzesca.”
“Sarà progredito meravigliosamente, mi sono sempre immaginato di lassù.”
“No, nonno Riziero, devo darti un’altra delusione.
A parte quell’invenzione fantastica che ti dicevo, siamo ormai sull’orlo dell’abisso, e così impigriti e alienati da un potere avido, distruttivo e capace di manipolare le menti e le anime, da non accorgercene nemmeno.
Siamo alcuni miliardi di individui in più sulla Terra, gran parte dei quali hanno problemi di fame, di sete e di malattia. Ma non basta: il cosiddetto sviluppo ha quasi raggiunto la fine delle risorse energetiche, così come l’acqua, e il cibo, e nello stesso tempo ha sconvolto il clima e l’ambiente in maniera irreversibile. E le guerre di predominio si succedono una dopo l’altra, mentre gli apparati di potere diffondono con successo una visione falsa e distorta dei fatti e della realtà.”
Sto a capo chino sulle mie verdure, preferisco non vedere l’effetto delle mie rivelazioni sul suo vecchio volto.
E per lunghi attimi si sente solo il vivace vocio della gente seduta ai tavoli tutt’intorno.

Poi lo guardo. Ha il volto rigato dalle lacrime.
E con la voce rotta dal pianto, mi fa:
“Vorrei prenderti con me, tu, tuo fratello, quelli che sono ancora al mondo.
Ma ancora non posso, ti porterei in cielo in un altro posto di espiazione, e causerei un dolore che ho ben conosciuto in chi vi vuole bene ora.”
“Lo so, nonno, ma forse adesso, che ti è toccato ascoltare queste cose, tu sei finalmente pronto per il definitivo passaggio, quello bello.”
“Forse, chissà, non sta a me decidere.”
“Beh, mi raccomando, quel giorno ricordati di dire una parolina buona per noi, e per il mondo intero, che ne ha così bisogno.”
“A’ s’capèss!”, si capisce, chiosa con un pizzico di mal celato fastidio.
“E adesso vai a lavorare col tuo taxi, che se no poi dici che tuo nonno ti ha fatto perdere tempo,” mi fa recuperando la sua espressione scherzosa: “Al conto ci penso io.”
“Grazie, ma li hai i soldi?”
Si guarda in tasca: “Ho tremila lire, pensi che bastino?”
“Penso proprio di no, è meglio che vada io a pagare.
Ma prima di salutarci fammi un grugno, come quand’ero piccolo.”

Mi guarda, si concentra un attimo, poi arriccia, contorcendoli, il naso e la fronte, mentre storce la bocca e sembra spostare il mento, con un effetto troppo spaventoso da non farmi ridere. Proprio come allora.
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Informazioni su Franz

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39 risposte a Al Caffè del Rosso

  1. Romina ha detto:

    Ma sai che mi sono commossa? Sto piangendo.
    Sarà che comprendo molto bene che cosa significa trascorrere un certo tipo d’infanzia e non solo…poi so che certe esperienze lasciano tracce indelebili.

    Bellissimo post! Scritto bene, originale e profondo. Parla di vita vera, autentica, in cui tanti possono riconoscersi.

    • Franz ha detto:

      Come ho scritto in risposta a Loretta, devo ammettere che mi dà una certa soddisfazione aver suscitato tanta emozione, sicuramente oltre le mie intenzioni e aspettative.
      In un mondo di finzione e di apparenza, evidentemente la sincerità esercita ancora il suo richiamo, e riesce a generare sintonia, naturalmente solo in chi è dotato …dell’opportuna cassa armonica.

      Un grazie altrettanto sincero.

  2. lorenza o vitamina ha detto:

    Ogni tanto vengo qua e trovo belle sorprese, mi è piaciuto molto questo racconto del nonno, mi piace sempre quando qualcuno interessante mi permette di sbirciare, con delicatezza , un pò più “all’interno” . Dopo tanti anni , su suggerimento di un’amica, sto riscrivendo un testo di tanti anni fa, ormai circa 12 o di più , sulla mia infanzia , per darlo a lei che penserà a pubblicarlo , quindi queste confidenze intime non possono che interessarmi e intenerirmi..

    • Franz ha detto:

      Mi fa come sempre piacere la tua visita, ed essere riuscito a pizzicare in te le corde della tenerezza.
      Spero che la lettura delle mie confidenze ti abbia dato qualche nuovo spunto, e ancor più entusiasmo, nel condurre in porto la tua avventura letteraria, su temi simili.

      Naturalmente ci farai sapere, neh?

  3. Luca ha detto:

    Uno dei miei primi posts (con la esse, son più d’uno) immaginava il nonno Romolo mai conosciuto che mi si sedeva accanto senza parlare mentre io pistolavo sul PC per spandere il mio incerto pensiero ed opinare nel web.

    Era di parola, il nonno. Anche lui, come il tuo, amava esprimersi nel suo pittoresco vernacolo, inestricabile intreccio tra l’umbro e il romagnolo, e nel 1919 aveva dichiarato alla nonna, “Margherì, an ciò nesuna voja de vede ‘n’altra guerra.”. Ritenne opportuno infatti morire nell’aprile 1940.

    Sarebbe tornato nell’aldilà scuotendo il capoccione e dicendo “Mi nipote pasa el tempo a guardà una specie de cinema in scatola che fa venì el mal de testa. Cosa ce trova no lo sa manco lù!”. E avrebbe fatto, come mi si racconta fosse suo solito, con la scostante ritrosia e osticità tipica delle sue terre, una esemplare sintesi del principio di inter(net)dipendenza che all’epoca mi stava cogliendo.

    Le nuove generazioni sembrano vivere in un eterno presente un po’ psicotico in cui la dimensione temporale viene del tutto a mancare. Come Robert De Niro in C’era una volta in America devono stordirsi per poter ricordare il passato o immaginare il futuro, da sobri sono delle macchine da consumo e da cura del look che fanno la gioia dell’industria del nulla.

    I nonni, da tempo, sono vissuti come erogatori di regali (non credo basterebbero le 100 lire sotto il piatto) o babysitter di complemento, per il resto spacaballe da tenere a distanza. Il distanziarsi dalla cultura contadina peggiora la situazione.

    Non ho avuto il tempo e forse la voglia di fare un post sul premio alla carriera del mio illustre concittadino Bernardo Bertolucci (al Barnàrd per la gente di Casarola sull’Appennino dove suo padre Attilio aveva la sua casetta estiva) e del resto da un po’ di tempo ho smesso di scrivere su tutto e sul contrario di tutto, ma se l’avessi fatto sarei partito con la splendida scena di Novecento dove Olmo Dalcò cammina sulla tavola verso il nonno patriarca che lo nomina “Olmo Dalcò, paesano!”. Per proseguire magari con Ugo Tognazzi nuovo arricchito langhiranese che si guarda allo specchio in tenuta da capitano di marina e si gratifica di un “Facia da stupid” nella Tragedia di un uomo ridicolo.

    La perdita della memoria e del rispetto per gli anziani vanno di pari passo e sono fra gli indizi di questa nuova barbarie. Che in Italia è incarnata da un anziano che si comporta come un adolescente scapestrato ma irresistibile a cui tutto sembra permesso.

    Una barbarie di cui Internet può essere simultaneamente un pericoloso amplificatore e un prezioso contraltare. Tanto per fare un esempio, la posta elettronica ci ha reinsegnato a scrivere, e perfino a scrivere quelle lettere d’amore che non sarebbero d’amore se non facessero ridere (come chiosa Vecchioni citando Pessoa). E questo da solo vale il prezzo del biglietto.

    E il mondo dei blog (ho provato una sofferenza fisica quando il mio amico Osvaldo Contenti ha dichiarato che secondo lui i blog erano morti e mi ha invitato ad entrare nel patinato mondo di Facebook, cosa che non ho alcuna intenzione di fare) ci aiuta a pensare (e qui mi rendo conto che la citazione, questa volta involontaria, è dalla Vivo Forte dei Nomadi, e il soggetto non sono i blog ma “la notte”) e ad incazzarci.

    I complimenti per la trasmissione li ritengo banali, direbbe Luca Carboni “E intanto Francesco Selis non sbaglia un post”.

    Quasi mi vergogno a fare una specie di squallida marchetta, ma ho raggiunto l’800° post senza accoppiarvi peraltro la decisione di chiudere, quindi ti invito a passare da me per un rinfresco in piedi con le specialità della gastronomia parmense.

    • Franz ha detto:

      Atteso a lungo e per questo ancor più gradito, è arrivato il tuo commento, a completare ed arricchire il mio racconto con il tuo consueto stile ricco di links (plurale; ma, secondo le mie lontane riminiscenze, bisognerebbe scrivere “link” non declinato e fra virgolette) di cultura vissuta, fra la Val di Taro e il west.

      Internet come contraltare o ampificatore alla barbarie: concetto interessante e da approfondire; da fondamentale ottimista, propenderei per la prima ipotesi.

      Ti invito, per finire, a non snobbare Facebook; se usato come strumento di informazione e comodo contatto rapido con gli amici, anzichè come surrogato superficiale e sfuggente di un blog, ha un’efficacia eccellente.

      Sono le quattro e un quarto di mattina; preferisco rimandare il rinfresco in piedi, del cui relativo invito ti sono grato, per andare a rinfrescare la testa in posizione orizzontale.

  4. kalojannis ha detto:

    Bello, che altro dire?!?
    Bravo…

  5. loretta ha detto:

    Perdinci, non guardo la tele, non leggo i giornali, non voglio sapere di disastri, guerre, morti,
    e poi cosa faccio? Mi metto a piangere leggendo le vite dei bloggers?
    Caro Franz,un abbraccio a quel bambino che ho scorto fra le tue righe .

    • Franz ha detto:

      E’ buona norma, di solito, dire: “mi dispiace averti fatto piangere”.
      Nel mio caso sarei spudoratamente bugiardo: sono infatti ben felice e un tantino fiero di averti comunicato delle emozioni forti, che penso comunque preferibili a quelle relative alle tragedie, presenti e reali, da cui rifuggi.
      L’abbraccio a quel bambino è purtroppo fuori tempo massimo, e di gran lunga. Mi vedo costretto …a riceverlo io per lui, e lo ricambio con gioia.

  6. milvia ha detto:

    Arrivo fra gli ultimi a commentare questa tua pagina così delicatamente e, al tempo stesso, così intensamente intimista. Mi sento di farlo solo ora, con la testa libera dai suoni (rumori, meglio), luci e colori del Salone del libro.
    E da commentare avrei tantissimo. A partire dal Caffè del Rosso, che pure io frequento saltuariamente e di cui apprezzo la cucina e l’atmosfera.
    Per proseguire con il parlare di nonni. Nonno difficile il mio nonno Giovanni, o Tatanni, come lo chiamavo io da piccolissima, anarchico, antifascista, contraddittorio e altalenante nelle sue manifestazioni di affetto. E che, come mi pare abbia fatto il tuo con tua madre, ha condizionato grandemente la vita della mia, e di conseguenza ha condizionato grandemente, dolorosamente, anche la mia, di vita. Anche lui andava al caffé, anzi, all’osteria, una che era in via Portanova, a giocare “alli carti” Chissà se è mai capitato anche dal Rosso… Aveva i baffi, mio nonno, e se sorrideva, il suo era un sorriso sarcastico. Non aveva il viso “a forma di scudo allungato” (questa tua descrizione è stupendamente, originalmente efficace…), almeno mi sembra. Assomigliava a Clark Gable, diceva mia madre.

    E parlare poi di infanzia, che non sempre è quel periodo gioioso e sereno cui un bambino avrebbe diritto, e allora a volte, come facevo io, bisogna un po’ inventarsela, per sopravvivere, bisogna dipingerla con altri colori anche mentre la si sta vivendo.

    E altro ancora, mi verrebbe in mente di scrivere, di sogni e di incontri, di perdono e di accettazione. Ma mica posso lasciare sempre chilometrici commenti, e già, questo, lo è abbastanza.
    Cerco di concludere qui, allora, dicendoti solo che “quel bimbo, magrolino, educato, quello che suonava così bene il pianoforte”, vien voglia di abbracciarlo. E quando, attraverso la scrittura, si riesce a far venire il desiderio di abbracciare un personaggio, reale o letterario che sia, significa che le parole usate sono quelle giuste, sono le uniche possibili per far dire al lettore: questo testo mi ha emozionato, quello che ho letto è bellissimo. Chi lo ha creato è un bravissimo scrittore, scrive con il cuore, e con la pancia, anche (come direbbe un altro scrittore mio amico).
    Grazie per avermi emozionato, caro Franz. Senza emozioni la vita è solo una distesa uniforme senza colori.

    P.S.: se è stata anche la passata sofferenza a farti diventare come sei, mi vien da dire: viva la passata sofferenza. Ma non va bene, inneggiare alla sofferenza, lo so.

    • Franz ha detto:

      E’ strano ed è bello ritrovare, quasi casualmente, elementi di storia personale comuni con una cara amica, benchè legati a vicende non esattamente facili e gradevoli.
      Qualche valvola di sfogo ci ha certamente aiutato, forse salvato; nel tuo caso i prati di maggio di cui hai parlato di recente nel tuo blog, nel caso mio le lunghe vacanze estive, oltre alle feste natalizie e pasquali che ho citato nel racconto.
      Grazie per il tuo apprezzamento sul brano; inutile nasconderti che ci contavo molto, visto che ormai mi hai viziato.
      E grazie anche per quell’apprezzamento finale su di me; a questo proposito penso che il superamento positivo delle difficoltà renda più forti, ma allo stesso tempo non credo che i percorsi dolorosi siano la migliore strada per la realizzazione di sè, perchè comunque il loro prezzo è altissimo; a me sembra a volte che tutta la mia vita sia un lento e mai terminato recupero.

      Un caro saluto e un abbraccio.

  7. alanford50 ha detto:

    Elegia del ricordo e del perdono, senza l’obbligo di rivedere, giudicare e condannare quello che è stato, anche perché seppur con estremo dolore non può essere cambiato, insomma una semplice ed essenziale rilettura per non dimenticare, ma nel contempo una rilettura anche per fare finalmente un confronto che porta ad una considerazione reale, forse un arrendersi che non consente nulla se non la presa di coscienza che porta ad assumere la consapevolezza della propria parte di sofferenza e di dolore.
    Perdonami il volo pindarico, ma questa è la sensazione che mi ha regalato il tuo scritto…
    Ciaooo neh!

    • Franz ha detto:

      Vedo ancora una volta che dietro la corazza della tua filosofia nichilista hai cuore ed antenne piuttosto sensibili. 🙂
      Nel dettaglio, mi piace moltissimo l’esordio: “elegia del ricordo e del perdono“, con cui mi regali una sistesi splendida del mio esperimento narrativo.
      Sono meno d’accordo dove dici: “la presa di coscienza che porta ad assumere la consapevolezza della propria parte di sofferenza e di dolore“, in quanto quello è un processo introspettivo che ho ampiamente percorso nel passato; anzi, la rivisitazione della figura di mio nonno, il mio commensale ultraterreno per quest’occasione, è stata fonte di dolcezza e di serenità.

      Un grazie e un salutoneh.

      • alanford50 ha detto:

        Per elegia del ricordo e del perdono intendevo che quando ci si avventura coscientemente ed onestamente nel ricordo e dopo che ci si è fatto carico della consapevolezza della propria parte di sofferenza e di dolore, si arriva sempre, come giustamente dici anche tu al giusto perdono accompagnato dalla relativa dolcezza e serenità.
        Ari-ciaooo neh!

      • Franz ha detto:

        Un po’ di analisi dopo la sintesi.
        Così mi piace ancora di più.

        Ciao, caro Alan, un alro salutoneh.

  8. Claudio ha detto:

    Bellissimo post Francesco.Bravo!!!
    Un grande saluto.

    • Franz ha detto:

      Grazie, carissimo.
      Oltre a mio fratello, tu sei l’unico lettore che ha conosciuto di persona i protagonisti della storia che ho raccontato, oltre ad aver condiviso con me i momenti migliori dei miei anni giovanili.
      Per cui i tuoi complimenti valgono …la metà!!! 🙂
      Un abbraccio.

  9. duhangst ha detto:

    Bellissimo post..
    Veramente anche perchè non è mai facile scrivere di se.

    • Franz ha detto:

      In effetti, caro Du, è la prima volta che lo faccio in maniera così aperta; ero un po’ titubante, ma poi i tanti commenti pieni di calore mi hanno davvero confortato e gratificato.

  10. lagiraffa ha detto:

    Certe cose che hai raccontato a tuo nonno, sono rivelazioni anche per me, caro Franz, e credo che con le parole abbia “filtrato” con pudore molto di quello che hai passato, del disagio che hai dovuto fronteggiare. Chi, poi, ha conosciuto quella timidezza di cui scrivi, sa che non è facile parlare di sè, perciò grazie per aver condiviso con noi un pezzo della tua storia e della tua anima.

    • Franz ha detto:

      Come hai ben capito, questa volta, seguendo l’ispirazione, ho tentato la strada di un autobiografismo spinto, ai miei occhi quasi spudorato, sia pure con qualche filtro, come hai capito altrettanto bene, e soprattutto rifuggendo risolutamente dal patetismo e dall’autocommiserazione.
      Tutti i commenti ricevuti fin qui (ma soprattutto il tuo, cara Giraffa), hanno premiato l’esperimento, e mi hanno regalato la ricchezza di un contatto profondo con tante persone care.

  11. maria ha detto:

    Mi piacerebbe fare una cena con mio nonno ed un pò invidio la tua fantasia che te lo ha permesso :-), non sottolineo la nostalgica tristezza che ne emerge, che ne è la inevitabile derivante sensazione, ma la bellezza del ricordo fatto realtà…la prossima volta che lo incontri, il nonno, salutamelo anche se non lo conosco, ma conosco il rimpianto di quello che è stato ed anche di quello che non è stato,e la nostalgia di un futuro mai più possibile.
    un saluto affettuoso
    maria

    • maria ha detto:

      sempre io…scusa la faccina che stona…voleva solo essere un sorriso delicato

    • Franz ha detto:

      Nostalgia del futuro“: è quasi un ossimoro, ma rende molto bene l’idea.
      Mi ricorderò di salutare il nonno da parte tua, se tornerà a trovarmi al Caffè del Rosso; e magari la prossima volta lo troverò del tutto rasserenato, e magari gli proporrò una partita ‘alle carti’, e rideremo felici insieme.

      Un saluto affettuoso a te, cara Maria, e comunque la faccina sorridente non stonava affatto!

  12. cristina bove ha detto:

    avevo lasciato un commento ma non lo vedo comparire.
    purtroppo non riesco a riformularlo nello stesso modo.
    e allora ti dico solo bravissimo!
    ho letto tutto con molto piacere.
    cri

  13. cristina bove ha detto:

    Grazie a quell’invenzione fantastica, però, tu ci hai regalato questo testo così ricco di suggestioni.
    mi piacerebbe che quel bambino fosse oggi almeno felice di ricordare.
    la vita allora era dura, in un altro modo, ma lo era.
    oggi combattiamo il consumismo e il degrado morale.
    allora si combatteva la fame e la privazione.
    la povertà è rimasta uguale.
    grazie, franz
    cri

    • Franz ha detto:

      Felice di ricordare“; se la felicità è intensità di sentire, allora posso dirti di sì, che rielaborare il ricordo è stata un’esperienza felice.
      Quanto alla povertà, devo in parte contraddirti; la mia, come tantissime famiglie della mia città in quei tempi, era di estrazione piccolo-borghese (o forse medio-borghese, non so, ma non fa differenza), e negli anni sessanta fu protagonista e beneficiaria della rapida evoluzione economica, nonchè dello stile di vita, caratteristica di quegli anni.
      Le privazioni, nel mio caso, furono di genere affettivo, in questo forse molto più vicine a quanto accade spesso ai giorni nostri, che non a quei tempi, di modelli familiari in fondo più semplici ed umani.
      E penso che sia un genere di privazioni che lascia tracce molto più profonde.

      Grazie a te, Cristina, del contributo e dei complimenti.

  14. Stefano ha detto:

    Ciao, sono Stefano della Trattoria del Rosso. Mi piace il tuo blog e ti ringrazio per avere citato il Rosso. Mi e’ stato segnalato ieri da Firenze5 (o era Firenze 1 e Firenze5 sei tu…? Ma chi cavolo ve li sceglie i nomi?) Posso farti un link al blog della trattoria e magari viceversa?

    • Franz ha detto:

      Una sorpresa gradita quanto inattesa!
      Firenze-5, a quanto ne so, è l’unico collega che segue fedelmente i miei scritti, anche se non ama scrivere commenti; questa sua ‘soffiata’, di cui non sapevo niente, non può che rallegrarmi.
      Come puoi verificare, ho già aggiunto il link al sito della trattoria al testo del racconto, all’inizio, la prima volta che cito il nome del locale; naturalmente mi farà molto piacere se ricambierai.

      Ciao Stefano, avrò piacere di conoscerti di persona in via Augusto Righi (ma ci sei sempre, di sera?).

  15. Nuovo Maestro Poli ha detto:

    Pargolo, mi hai commosso.

  16. amanda ha detto:

    Ora so a chi dare la colpa, sarà gustoso quello che mangi al Caffè del Rosso, ma un po’ pesantino deve essere per farti fare questi sogni che hanno sempre un ramiulin di melanconia. Per non saper nè leggere nè scrivere la prossima volta che passo dalle tue parti mi ci porti così se poi faccio sogni strani ne darò pubblica conferma 🙂

    • Franz ha detto:

      Non so se sia colpa della digestione, so che quel ramiulin è ampiamente compensato dall’affetto nei tanti commenti che sto ricevendo.
      Comunque, quando ripasserai da queste bande, sarà un onore e una gioia avere te (e in persona…!) come commensale.
      🙂

  17. Sara ha detto:

    Che “incontro” toccante! certo tu lo pensi e lo ricordi come nonno, sarà stato giovanotto anche lui…mi sarebbe piaciuto un contesto così, anche a costo di sorbirmi delle lezioni di pianoforte.
    Nel mondo in cui io sono cresciuta, forse per un malinteso retaggio contadino, i nipoti sono stati sempre considerati dei pesi, almeno fino all’età in cui non si diventava produttivi o riproduttivi.
    Un bacio e zampette zampette…

    • Franz ha detto:

      Scrivere questo post ha fatto fantasticare anche me, sulla lontana e misteriosa giovinezza del nonno; come pure mi ha fatto rivalutare la sua dolcezza nei miei confronti, il cui ricordo era un po’ offuscato.
      Detto questo, temo proprio non ci sia niente di invidiabile, in un’infanzia che è stata caratterizzata soprattutto dalle carenze di attenzione, come ho cercato di confidare in questo brano di estremo autobiografismo.

      Un bacio e zampettamenti a te!

  18. silvanascricci ha detto:

    Era da un po’ di tempo che non passavo dalle tue parti.
    Ma leggerti e ritrovarti è sempre bellissimo.
    Grazie

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