L’esperienza che sto vivendo, in condizioni climatiche così estreme, è un po’ come un tardivo servizio militare: si sviluppa un’imprevedibile e preziosa capacità di adattamento.
La camera all’ultimo piano dell’albergo, priva di aria condizionata, era soffocante; anche la doccia, che di solito ha magici poteri rigenerativi, era stata come uno sgradito bagno turco.
Mi chiedevo come sarei riuscito a dormire. Ma, col tramontar del sole, è cominciato a soffiare un vento più fresco che, a finestre spalancate, ha fatto il miracolo. E anche il rumore del traffico diventa sopportabile…
Sono le sei e quarantasette quando mi avvio, alla ricerca del percorso standard, più a monte della statale.
La mattina è caratterizzata da un forte vento, umido ma piacevolmente fresco, che mi spinge alle spalle, come per aiutarmi.
Ritrovate le tracce del percorso ufficiale, comincia una nuova fantasmagoria di ambientazioni e passaggi, realizzata evidentemente a beneficio esclusivo di un ipotetico club dei camminatori.
La bellezza di tanta incredibile varietà sarebbe esaltante, tanto più in condizioni segnaletiche finalmente abbondanti e perfette.
Ma devo pagare lo scotto della lunga massacrata di ieri, sia a livello fisico che mentale, e quando mi vedo costretto a ghirigori del tragitto che comportano faticosi strappi in salita, la preoccupazione di finire nuovamente alle corde si fa sentire.
Lascio ora, forzatamente, che sia la selezione di immagini a guidare il racconto della giornata.
Il sentiero attraversa una specie di campeggio fantasma, dove non si avverte la presenza di alcuna persona vivente; la cosa è davvero strana sul finire di giugno, e con questo caldo.
Poco prima, invece, a distanza di qualche decina di metri, una ragazza mattiniera, su un grande prato, faceva correre il suo cane lanciando la pallina.
Avevo visto che mi aveva notato con curiosità e così, appena mi sento nel suo lontano campo visivo, con un braccio le invio un saluto deciso. Ricambia subito, gioiosamente: amore a prima vista, nonostante il divario d’età? Comunque per me una bella e piacevole piccola emozione.
Ancora gli ormai abituali passaggi in antichi agglomerati,
in quest’ultimo caso, oggetto di…rifunzionalizzazione spinta.
Ed ecco, alle otto, spuntare il sole dai monti.
Il getto d’acqua, questa volta, non è sulla traiettoria del mio passaggio e quasi me ne dispiace, perché i raggi del sole si fanno già sentire come spade e il vento è cessato.
Frequenti e curiosi, in questa zona, questi colonnati a sostegno delle vigne, che ricordano vagamente il Partenone…
La Dora Baltea continua, oggi per l’ultima volta, a fare da leitmotiv di queste prime tappe, allargando e potenziando progressivamente la sua portata.
E sempre a proposito di acqua, ecco una delle tante benedette fontane presenti sul percorso: non ne salto una, per rinfrescarmi faccia e braccia e per irrigare lo stomaco!
Il paesaggio piemontese, intanto, quasi d’improvviso si è fatto pianeggiante. È una scoperta visiva, ma anche uditiva, perché per la prima volta ritrovo un silenzio incantato, impossibile nelle strette valli montane.
Conclusa la terza ora di impegnativo cammino, l’esigenza della consueta sosta al bar si fa imperiosa.
In un punto in cui la statale non è lontana, abbandono il tracciato e mi ci dirigo, con la speranza che il paese di Borgofranco d’Ivrea ne abbia uno.
Il desiderio si avvera e questa volta cedo all’evidenza: per bere un gustosissimo chinotto Lurisia bisogna prenderlo freddo.
E si riparte, sotto un sole sempre più implacabile.
Un simpatico incontro:
questo signore, intento a cibarsi voluttuosamente di bacche cadute sul selciato, si lascia fotografare da vicino.
Una deviazione a monte (sembrava non ce ne fossero più…) su per una salita interminabile, tanto che mi viene il sospetto che si debba raggiungere il castello.
Per fortuna non è così: l’ascensione serve solo per raggiungere uno dei caratteristici laghi d’Ivrea.
Il sentiero lo costeggia, per poi addentrarsi lungamente in una boscaglia che toglie la percezione del l’avvicinamento ad Ivrea.
Ma poi termina improvvisamente nei pressi della statale.
Sono gli ultimi faticosi chilometri, con l’asfalto che riverbera il calore del sole.
Ma alla fine la città si lascia raggiungere,
e, con un percorso ancora lungo, attraversare,
fino alla mia meta: l’ostello Canoa club, presso un’impetuosa diramazione della Dora.
È l’una e un quarto: nella porta viene indicato l’orario delle quindici per l’accettazione.
Per fortuna il cortile è munito di panchine e tavoloni, dove, per prima cosa, mi “occupo” del melone da un chilo che ho acquistato in un negozio all’entrata della città.
E con implacabile sistematicità, fetta dopo fetta, lo anniento.
Melone m’hai sfidato e mo’me te magno. Certo che settimana peggiore, climaticamente parlando non potevi beccare
Dotta citazione di un grande classico… 🙂
Quanto al clima, ho la convinzione stramba che questo tipo di vita costituisca comunque una fuga dal caldo cittadino, che mi annichilisce…