La libertà di pensiero in tre scatole cinesi

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“Spegni la tv e accendi il cervello” recita lo slogan della web-tv di Salvo Mandarà.
Spero proprio di assecondare anche il secondo di questi due imperativi; per quanto riguarda il primo, è mia abitudine ormai da molti anni accendere il televisore molto raramente, quasi solo per eccezione.
Negli ultimi tempi poi, sempre più spesso, scelgo proprio le sue trasmissioni per farmi compagnia dopo cena; le ripesco, in differita di pochi giorni o anche solo di poche ore, dalla videoteca del sito (clicca qui), guidato dalla conoscenza delle rubriche settimanali con ospiti fissi o dalla curiosità per qualche argomento nuovo o estemporaneo.
Giusto per darvene un’idea, linko qui l’accattivante puntata di ieri l’altro della rubrica “Siamo alla frutta… e verdura” con l’ospite fisso Giuseppe Cocca, un medico di impostazione igienista che tratta di alimentazione e stile di vita salutari.

È un servizio di nicchia, meno famoso di altri, quello offerto via internet da Salvo, ma è prezioso per acquisire o approfondire la conoscenza su argomenti molto disparati, da una fonte curiosa, molto aperta e molto disincantata rispetto al flusso delle informazioni pilotate dai media di regime.
Su quest’ultimo concetto, dei media di regime, si aprirebbe un discorso troppo lungo rispetto a ciò che mi preme affrontare qui.
Certo, le posizioni di Mandarà sono sempre molto radicali, oltre che libertarie: al suo confronto, le mie potrebbero essere tacciate di conformismo…, ma mi sento tuttavia, in qualche importante modo, accomunato con la sua visione della realtà.
Non è un caso se, nonostante la quantità enorme delle sue frequentazioni, intrattenga io stesso con lui, sia pure con cadenza molto rarefatta, un contatto diretto, essenzialmente via Facebook e relativa messaggeria.
Quando, lo scorso gennaio, feci il grande passo del pre-pensionamento dalla mia attività lavorativa, mi propose un’intervista, orientata a testimoniare un caso emblematico di scelta di qualità di vita, come peraltro era stato per lui quando decise di dedicarsi a tempo pieno (e successivamente facendo ritorno nella sua Sicilia) alla sua personale tivù. Ci pensai alcuni giorni, poi la mia ritrosia nel parlare in diretta della mia vita ebbe la meglio e gli dissi che non me la sentivo.

Poche sere fa ho iniziato a visionare una sua trasmissione speciale, attratto dall’importanza dell’ospite di una conferenza pubblica, svoltasi nella cittadina siciliana di Vittoria dove Salvo risiede e trasmette.
L’ospite in questione, e qui si apre la seconda delle scatole cinesi di questo mio scritto, è il giornalista Silvestro Montanaro.

Chi, in anni ormai lontani, teneva accesa la tivù (e in questo caso anche il cervello), forse se lo ricorderà come conduttore, su RAI3, di programmi come “C’era una volta” e “Dagli Appennini alle Ande”.
Da parte mia, ho imparato a conoscere e apprezzare i suoi commenti solo da un anno o due.
Nei suoi scritti ritrovo sempre rigore etico, autonomia di pensiero, grandissima umanità e conoscenza dei luoghi più colpevolmente lontani dalle cronache, là dove si manifestano le conseguenze della violenza predatoria della nostra fetta di mondo ricca, democratica, civilizzata… e tanto, tanto ipocrita.
La sua lunga serie di “C’era una volta” ebbe a interrompersi bruscamente dopo la puntata del 18 gennaio 2013, intitolata “Ed uccisero la felicità”.
Nell’incontro a Vittoria, videotrasmesso in rete da Salvo Mandarà (clicca qui), Silvestro Montanaro racconta, senza mostrare rancore ma quasi si fosse trattato di un evento inevitabile, le ragioni della rottura: quel reportage narrava la vita del giovane presidente di uno stato africano, colui che ne cambiò il nome da “Alto Volta” in “Burkina Faso”.
Racconta il coraggio di quell’uomo, che lo rese scomodo a livello internazionale, una scheggia impazzita da eliminare: così come avvenne, all’età di trentotto anni non ancora compiuti, da parte del suo amico e collaboratore più stretto, Blaise Compaoré, che lo ammazzò nel corso di un colpo di stato che portò quest’ultimo al potere.
Ebbene, proprio nei giorni in cui RAI3 mandava in onda la trasmissione, ricca di testimonianze e di immagini di valore storico, l’assassino Blaise Camporé veniva ricevuto con tutti gli onori dal governo di Mario Monti.
E Silvestro Montanaro veniva a pagare, immediatamente, il coraggio di aver diffuso verità scomode.

Durante l’incontro pubblico in terra siciliana è stata proiettata per intero la puntata in questione; nel momento in cui comincia la proiezione, le riprese da parte di Salvo Mandarà si interrompono per un attimo, per permettere a chi vuole, anche in differita, di visionare per conto proprio quella puntata, che si trova agevolmente in rete.
È quello che ho fatto anch’io.
La trasmissione (clicca qui) dura circa cinquantaquattro minuti, ma vi assicuro che sono spesi molto bene.
Perché si viene a conoscere la storia di un uomo la cui grandezza regge tranquillamente il confronto con tutti i giganti della storia recente (da Gandhi a Bob Kennedy, da Martin Luther King a Nelson Mandela), con la differenza, rispetto a questi, che la sua memoria (così come avvenuto per la sua tomba), è tenuta sotto traccia, soffocata, fatta ignorare, perché, con la sua calma e fiera fermezza, grida ancora la verità inconfessabile della violenza predatoria, distruttrice e assassina dei paesi ricchi come il nostro.

Quell’uomo, il primo presidente del Burkina Faso, e qui apro la terza, ultima e più importante di queste scatole cinesi della libertà di pensiero, si chiamava Thomas Sankara.

Non voglio togliere con le mie parole il senso di meraviglia che si prova nell’assistere alla ricostruzione della storia di lui e del suo popolo.
Un paese, forse il più povero al mondo, che nei pochi anni della sua presidenza si risollevò miracolosamente, garantendo cibo acqua e condizioni di dignità per tutti.
Con l’esempio di abitudini di vita di una sobrietà che a noi pare esagerata, conquistò la piena fiducia di tutti gli uomini e di tutte le donne che, come lui, furono portati a offrire tutte le proprie energie al lavoro per la rinascita.
E con un coraggio e una fierezza di una semplicità fantastica, portò la sua testimonianza nelle sedi internazionali.
L’immagine iniziale di questo mio articolo mostra uno dei momenti più interessanti della trasmissione di Montanaro: il viso contratto del presidente francese François Mitterrand, ospite in Burkina Faso, nel momento in cui Thomas Sankara non esita a rinfacciargli di avere accolto in patria alcuni “banditi” e “assassini” del Sud-Africa, di cui fa nomi e cognomi.
Tutto il discorso tenuto in quell’occasione andrebbe studiato nelle scuole come esempio di nobiltà, coraggio e pacifismo autentico; in rete ne ho trovato una trascrizione completa in lingua francese (clicca qui).
Come sarebbe bello se qualcuno si prendesse la briga di tradurlo con precisione, in italiano, in inglese, in tutte le altre lingue, e di dargli la diffusione che merita…

Termino questo articolo ripetendo l’appello di Salvo Mandarà: per una sera, per meno di un’ora, spegnete la tivù e accendete il cervello, e ripercorrete le immagini della vita di un uomo, la cui memoria è compito anche nostro fare emergere e salvaguardare da un silenzio colpevole.
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